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Nuove riflessioni su pacifismo e guerra

Ho scritto in maniera direttaindiretta le mie riflessioni e valutazioni sulla guerra in Ucraina. Già nel mio post su “Ucraina e pacifismo” avevo delineato una dicotomia tra due possibili pacifismi: un pacifismo astratto come negazione e rifiuto assoluto del conflitto ed un pacifismo concreto come utilizzo di tutti i mezzi necessari (e come ultima ed estrema risorsa del conflitto stesso) per la risoluzione del conflitto.

La situazione odierna è (e la metto giù nel modo più astratto possibile, per farne quasi un’equazione) che il paese A ha invaso il paese B. Quali le possibili strade per la pace? Due semplici ed una complessa. Le due semplici: A cessa l’invasione e si ritira (magari a fronte di concessioni più o meno territoriali). B si arrende (e viene occupato o si attua un cambio di regime con un governo succube di A). Ovviamente entrambe le soluzioni semplici sono, nella migliore delle ipotesi, semplicistiche. Perché dovrebbe ritirarsi A? Perché dovrebbe capitolare B? (Orsini, che la sa lunga su quanto desiderano i bambini ucraini, sostiene che questo sia il loro volere. Purtroppo non ha alcuna documentazione a sostegno, e praticamente la totalità delle fonti ucraine a riguardo sostengono esattamente l’opposto).

Quella complessa è la strada della mediazione anche sostenuta da elementi terzi.

In realtà quest’ultima strada è quella che si sta percorrendo attualmente con la mediazione dello stato C. Ma fermiamoci un attimo e torniamo alla nostra questione iniziale del pacifismo.

Il pacifismo astratto come rifiuto assoluto del conflitto pretende la cessazione tendenzialmente immediata del conflitto stesso. Quindi la prospettiva non è quella della soluzione complessa quanto quella di una delle due soluzioni semplici. E il buon senso ci dice che non sarà a desistere dal conflitto la potenza A che l’ha iniziato, almeno fino a quando non riuscirà a raggiungere obiettivi minimi (che ad oggi non sono chiari a nessuno). Quindi chi sostiene questa posizione, implicitamente o esplicitamente, la pone in carico alla resa di B. E questo, a prescindere da quali siano A e B, è per me una posizione odiosa ed irricevibile. Fin da piccolo ho avuto la cocciutaggine di non darla mai vinta ai bulli grandi o piccoli, e probabilmente se avessi agito in maniera differente, oggi avrei una carriera ben più brillante. Alcuni di questi pongono però la questione in una prospettiva storica: la coalizione Ψ, storicamente antagonista dell’altra coalizione Φ (di cui A è la potenza capofila), si è mossa cercando di stringere alleanze aggressive nei confronti di Φ, compresa la ricerca di alleanza diretta con B, e l’invasione di A a B è la conseguenza diretta di queste mosse (quindi la responsabilità della guerra è da porre in capo non a A ma a Φ, ed in ultima analisi allo stato egemone di questa coalizione: D). Ed è proprio qui che arriva l’alto monito di Santoro da Piazza Pulita: è a D che spetta il compito di far finire la guerra intavolando negoziati (ed a questo punto necessariamente offrendo concessioni) con A perché termini l’invasione di B, o quantomeno smetta di ammazzarne la popolazione. Sembrerebbe sensato, senonché quale sarebbe la convenienza di A ad accettare di trattare con D, storico antagonista che, tra l’altro, si è fatto tutte le sue guerre senza chiedere particolari permessi ad A?

Se è odioso (almeno per quel che mi riguarda) e sicuramente immorale chiedere a B (al limite si potrebbe auspicare in una decisione spontanea) la resa senza combattere per la propria patria contro l’invasore e se è scarsamente probabile una autonoma cessazione delle ostilità e ritirata di A, resta l’opzione complessa. Abbiamo già visto come una mediazione di D è poco probabile che sia appetibile per A, in aggiunta per il fatto che D sta attualmente fornendo aiuti militari a B. Lo stesso probabilmente è da dirsi per β, la coalizione delle potenze nello stesso continente di B, contemporaneamente in conflitto (economico e sociale, se non ancora militare) con e in dipendenza da (soprattutto economica) A (e comunque aderenti all’alleanza Ψ). Ovviamente c’è C, che attualmente si propone come attore internazionale proponendosi quale mediatore del conflitto. Da un certo punto di vista C è poco credibile perché quando gli fa comodo sostiene Ψ (e non a caso è la seconda potenza militare dell’alleanza) o A per meglio supportare le proprie ambizioni di espansionismo politico e territoriale (d'altra parte questa intrinseca ambiguità potrebbe essere proprio l'elemento in grado di congiungere gli interessi contrapposti. Quale, mi chiedo, il beneficio per C?). La potenza che potrebbe davvero giocare il ruolo di mediatore è E, colosso orientale in conflitto economico con D (e in generale coi paesi appartenenti a Ψ) e in buoni rapporti economici con A, senza per altro appartenere né direttamente né indirettamente alla sua sfera d’influenza. Possibilità rimarcata del resto da tanti osservatori, senonché E è restia a farsi tirare in mezzo in una situazione da cui non vede sbocchi profittevoli.

In questo nodo aggrovigliato di conflitti reali, politici ed economici, tanto più complessi perché sottesi ad essi stanno dipendenze di risorse ed interessi (ancora) economici, i pacifisti astratti chiedono la pace. Che, intendiamoci, è il desiderio di tutti, pure di A, che infatti ha dichiarato di invadere B non per fare la guerra ma per ripristinare la pace minacciata appunto da B (del resto ha utilizzato le stesse motivazioni anche D per i suoi conflitti in Medio Oriente). Santoro, più culturalmente attrezzato degli altri, sostiene che è D che deve chiedere ed ottenere (evidentemente offrendo una posta in cambio) la pace.

I pacifisti concreti riconoscono che un nodo di tali proporzioni non può essere sciolto con la buona volontà. Occorre dare a chi si difende (B) gli strumenti per difendersi (non necessariamente armi) e fare per quanto possibile terra bruciata (economica) attorno ad A occupante. Quello che in realtà potrebbe fare D non è negoziare con A, ma piuttosto far sì che E possa trovare conveniente proporsi esso stesso come negoziatore. Del resto veniamo da un lustro di guerra commerciale e sanzioni incrociate tra D ed E: la fine della guerra in B non sarebbe un ritorno adeguato per la fine della guerra commerciale tra D ed E?

POST SCRIPTUM:
Nico Piro (giornalista di RaiNews attualmente corrispondente da Mosca e precedentemente inviato in Ucraina e prima ancora in Afghanistan, autore del libro Kabul, crocevia del mondo) stigmatizza nei suoi tweet il Pensiero Unico Bellicista. A me in realtà sembra di vederne uno uguale e contrario: il Pensiero Unico Pacifista. Pur diametralmente opposti, PUB e PUP hanno in comune di essere "pensiero unico" lontano dai dubbi ed alieno dalla complessità. Ed entrambi mi fanno paura perché tentare di risolvere situazioni complesse con strumenti semplici e strategie unilaterali di solito porta alla catastrofe. Di più: mi sembra che già la pandemia abbia iniziato un processo che la guerra in Ucraina sta ulteriormente approfondendo di sconvolgimento dei campi ideologici. Sempre meno ha senso la divisione tra destra e sinistra e sempre di più ne ha una nuova divisione: quella appunto tra pensiero unico (che comprende bellicisti e pacifisti) e pensiero critico.

POST POST SCRIPTUM (25/03/2023):
A quasi un anno da questo mio post la Cina (finalmente) si muove avanzando (un abbozzo di) proposta di pace. Subito si leva alto il monito degli USA che sospettano: a) un piano a vantaggio esclusivo della Russia, alleato cinese; b) un modo per nascondere forniture di armi all'alleato in difficoltà. Senza con questo sminuire minimamente le responsabilità della Russia putiniana nell'invasione e nell'anno di guerra e distruzioni, è evidente da questa reazione come agli USA la situazione vada benissimo così com'è: una guerra per procura al nemico storico dove non è costretta ad impegnarsi direttamente (come si usa dire "boots on the ground"), dove la fornitura di armi fa bene soprattutto alla relativa industria e contemporaneamente osservando il progressivo dissanguamento di risorse e di consenso del regime putiniano. Paradossalmente vanno nella stessa direzione i sostenitori di quello che ho chiamato Pensiero Unico Pacifista: il negare le armi di difesa all'Ucraina avrebbe il risultato di dare meno forza al piano di pace perché con un Ucraina in difficoltà la Russia perché dovrebbe accettare condizioni che non siano di resa dell'avversario? Al contrario - secondo me - chi auspica una pace che sia il più possibile giusta e duratura, deve sperare nella e promuovere l'iniziativa cinese. Non perché particolarmente innamorato della Cina o del suo regime, ma perché - come ho scritto nel post - è (al momento) ancora l'unica via ragionevolmente percorribile per una soluzione diplomatica che non preveda la cancellazione di uno dei due contendenti.

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