Mettiamo a confronto Heidegger, in qualità di “filosofo” del
nazismo così come delineato nel libro di Faye (Emmanuel Faye Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’asino d’oro, 2012
<http://www.lasinodoroedizioni.it/libri/18/heidegger-l-introduzione-del-nazismo-nella-filosofia>),
con Gentile come “filosofo” del fascismo così come comunemente (e in alcuni
casi “orgogliosamente”) inteso.
Faye ci mostra come la filosofia di Heidegger sia intrisa di
razzismo legato ad una concezione di superiorità del popolo tedesco come
portatore di un destino legato al sangue ed al suolo. Evidente qui la
differenza filosofica di Gentile che, pur sostenendo personalmente il fascismo,
non arriva a piegare l’attualismo alla mera giustificazione del regime. Infatti
per Gentile il soggetto non è un popolo razzialmente connotato e neppure un’ideale
di nazione (come superiore ad altre) ma piuttosto lo Stato (non a caso definito
“etico”) come unione concreta di uomini che si riconoscono in una storia
comune. Che il razzismo sia alieno non solo alla dottrina gentiliana, ma pure
al suo sentire personale, è testimoniato dall’accoglienza nell’Enciclopedia Italiana da lui curata di
studiosi di origine ebraica e dalle critiche per questo ricevute. In più lo
Stato etico non può essere uno stato razziale perché essendo la razza un
accidente biologico non ha diritto ad essere considerato (se non in astratto,
per stati eventualmente diversi dall’Italia o dalla Germania, , che non abbiano
visto nella loro storia l’apporto culturale e quindi spirituale di differenti
etnie) un elemento in grado di definire l’eticità dello Stato. Di più: ponendosi
come fattore di divisione all’interno dello Stato, una legge razziale si
qualifica automaticamente come astratta ed ingiusta.
Proseguendo nel raffronto sulle espressioni politiche delle
due filosofie è interessante tentare di capire quale potrebbe essere il
giudizio dei due filosofi sul “governo tecnico” attualmente in carica nel
nostro paese. Probabilmente tale governo sarebbe deprecato da entrambi, ma con
motivazioni sottilmente diverse. Heidegger ci farebbe osservare come il “tecnico”
del governo tecnico non è che un nascondimento dell’essere, ovvero delle vere
motivazioni politiche del governo stesso. Ma probabilmente concluderebbe
attendendo il tramonto della tecnica (del governo tecnico) al fine del pieno
dispiegamento dell’essere, ovvero di una politica che a questo punto rischia di
non essere altro che la ribellione rivendicativa del popolo sulle élite
economiche (come per altro successo di recente in Argentina). Anche per Gentile
un governo tecnico è una contraddizione in quanto il governo dev’essere l’espressione
della volontà dello Stato ed in quanto tale deve essere legittimato e
legittimarsi come politico. Ma per Gentile, se ogni legge in quanto tale è
volontà dello Stato e quindi di per se stessa valida ed autorevole, la
ribellione contro quella stessa legge è legittimata dal suo riuscire a
sovvertirla ed a diventare essa stessa nuova legge. Per questo la ribellione è
negativa solo quando astratta, cioè solo quando non riesce a concretizzarsi in
nuova legge. Il governo tecnico in quanto tale è astratto, astratto perché
tecnico, mentre la natura etica dello Stato necessita di risposte etiche e
quindi politiche, non formalmente limitate dalla necessità di risolvere
problemi in qualche misura contingenti. Un governo per uno Stato dev’essere per
Gentile sempre portatore di una integrale visione dello Stato stesso. Per
questo, alla luce dell’attualismo, intanto, essendo governo, il governo Monti è
un governo con una visione etica, ma nel negarlo svela la propria doppiezza ed
astrazione. In un momento come questo la posizione attualista potrebbe aiutare
a riaffermare, in Italia ed ancor più in Europa, il primato necessario della
politica come visione (e programma) per governare il futuro dei popoli,
italiano ed europeo, che tragga le radici dal passato comune. In assenza di
tali prospettive il destino possibile e probabile per l’Europa è un futuro di
nuove divisioni, e conseguentemente di nuovi nazionalismi, nuove esaltazioni di
sangue e suolo nazionale, gli uni contro gli altri e tutti contro uno
spauracchio comune, forse di nuovo la plutocrazia giudaica, forse il terrorismo
islamico, chissà.
Oggi l’Internazionale
dei lavoratori non è più un vessillo in grado di catalizzare, anche
polemicamente, l’attenzione politica. Forse potrebbe farlo una versione
aggiornata dello Stato etico? Uno Stato etico non limitato all’Italia, ma
esteso all’intera Europa, in grado di coagulare i diversi popoli in una visione
politica comune. Tenendo conto che Stato etico non significa necessariamente
fascismo, ed anzi per certi aspetti è il comunismo la forma perfetta di Stato
etico in quanto la cosa pubblica è letteralmente di tutti i cittadini. In
particolare l’obbiettivo della realizzazione dello Stato etico europeo
sottrarrebbe il primato all’economia – in particolare alla finanza ed ai
mercati – che genera capitale non aumentando ma sottraendo risorse al lavoro e
quindi all’economia “reale”. L’economia – e specialmente la finanza e i mercati
– devono tornare ad essere strumenti al servizio del programma politico di
unione dell’Europa, d’integrazione dei popoli e di sviluppo sostenibile e
coordinato dell’intero continente.
Se i legami finora di natura economica (la moneta unica) e
commerciale non si estendono a legami politici, vera e propria identità dei
popoli europei nello Stato Europa, ben presto le divisioni si appesantiranno
sfaldando i legami esistenti e provocando nuove rotture e sprofondamenti nei
localismi in una vera e propria balcanizzazione dell’Europa.
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