Dopo aver scritto (anzi, mentre scrivevo) il post precedente m'è accaduto di ruminare la risposta di Vattimo (http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/il-libro/articolo/lstp/457017/) al libro di Faye, perché sostanzialmente Vattimo fa emergere una questione che già m'era balenata, ma la presenta come difesa d'ufficio dell'uomo-Heidegger. Cosa che mi lascia invece perplesso.
Ha ragione Vattimo sul fatto che il sapere (egli continua a dubitarne, ma le prove che porta Faye sono tante e talmente circostanziate, che un ipotetico tribunale non potrebbe tenerne conto) Heidegger nazista e razzista non annulla per ciò stesso la sua filosofia. Faye aggancia la condanna per razzismo e nazismo all'uomo alla condanna per razzismo e nazismo alla sua filosofia, sostenendo per ciò stesso che la dottrina di Heidegger non è filosofia ma in qualche modo aberrante ideologia ponendo in equivalenza Essere e tempo e il Mein Kampf.
Sebbene trovi indecorosa da parte di Vattimo la difesa ad oltranza di Heidegger uomo (come del resto sottolinea François Rastier: http://www.left.it/2012/07/19/vattimo-e-le-mani-sporche-di-heidegger/5351/) non trovo inammissibile pensare le questioni poste filosoficamente da Heidegger. In questo senso Vattimo avrebbe fatto meglio, invece che cercare di sostenere l'insostenibile (ovvero che Heidegger non era un razzista), a mettere al centro della questione il nucleo fondante del pensiero heideggeriano, che del resto è alla base anche del vattimiano "pensiero debole" ovvero il nascondimento dell'essere. Al di là di ogni dubbio sulla moralità e sull'eticità di Heidegger quello che oggi dobbiamo ammettere è che il mondo, in particolar mondo il mondo Occidentale, ha sempre più smarrito il fondamento della propria esistenza, ed a causa di questo smarrimento è in preda a convulsioni ed incapacità di ripristinare una rotta nella propria esistenza.
Detto questo, cioè ammessa la critica fondamentale alla contemporaneità posta da Heidegger, occorre anche dire che tale critica non ci basta, non basta l'ontologia, occorre anche un etica che ci guidi verso una nuova rotta, un nuovo disvelamento. E' qui l'abisso non solo nel pensiero di Heidegger ma anche in tutto il "pensiero debole": l'incapacità o il rifiuto di trasformare l'analisi in proposta, in programma, in politica. Una politica, un'etica pubblica differente dal "sangue e suolo" che oggi come oggi ci porterebbe a null'altro che ad un Nuovo Medioevo.
Ha ragione Vattimo sul fatto che il sapere (egli continua a dubitarne, ma le prove che porta Faye sono tante e talmente circostanziate, che un ipotetico tribunale non potrebbe tenerne conto) Heidegger nazista e razzista non annulla per ciò stesso la sua filosofia. Faye aggancia la condanna per razzismo e nazismo all'uomo alla condanna per razzismo e nazismo alla sua filosofia, sostenendo per ciò stesso che la dottrina di Heidegger non è filosofia ma in qualche modo aberrante ideologia ponendo in equivalenza Essere e tempo e il Mein Kampf.
Sebbene trovi indecorosa da parte di Vattimo la difesa ad oltranza di Heidegger uomo (come del resto sottolinea François Rastier: http://www.left.it/2012/07/19/vattimo-e-le-mani-sporche-di-heidegger/5351/) non trovo inammissibile pensare le questioni poste filosoficamente da Heidegger. In questo senso Vattimo avrebbe fatto meglio, invece che cercare di sostenere l'insostenibile (ovvero che Heidegger non era un razzista), a mettere al centro della questione il nucleo fondante del pensiero heideggeriano, che del resto è alla base anche del vattimiano "pensiero debole" ovvero il nascondimento dell'essere. Al di là di ogni dubbio sulla moralità e sull'eticità di Heidegger quello che oggi dobbiamo ammettere è che il mondo, in particolar mondo il mondo Occidentale, ha sempre più smarrito il fondamento della propria esistenza, ed a causa di questo smarrimento è in preda a convulsioni ed incapacità di ripristinare una rotta nella propria esistenza.
Detto questo, cioè ammessa la critica fondamentale alla contemporaneità posta da Heidegger, occorre anche dire che tale critica non ci basta, non basta l'ontologia, occorre anche un etica che ci guidi verso una nuova rotta, un nuovo disvelamento. E' qui l'abisso non solo nel pensiero di Heidegger ma anche in tutto il "pensiero debole": l'incapacità o il rifiuto di trasformare l'analisi in proposta, in programma, in politica. Una politica, un'etica pubblica differente dal "sangue e suolo" che oggi come oggi ci porterebbe a null'altro che ad un Nuovo Medioevo.
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