Qualche riflessione su Information literacy in biblioteca
Il volume di Laura Ballestra, Information literacy in biblioteca (Bibliografica, 2011), mi consente di ritornare sul tema "bibliotecario/consulente" già esaminato a proposito del volume The librarian as information consultant (http://ossessionicontaminazioni.blogspot.com/2012/01/reference-librarian-vs-information.html). Benché il focus dei due libri sia (ovviamente) diverso, trovo spunti maggiormente interessanti nel testo della Ballestra anche sul tema analizzato dalla Murphy. Mentre la Murphy riduce tutto il reference ad un unicum trasferendolo in ambito consulenziale, la Ballestra chiarisce esserci livelli diversi di reference e che se tutti hanno in qualche modo a che fare con l'information literacy non è né necessario né desiderabile trattarli tutti allo stesso modo da un punto di vista organizzativo. Il livello della "consulenza" esiste, deve esistere, ed è il livello più elevato di reference, quello dove il bibliotecario consulente supporta e insegna il processo di ricerca: "collaborare con chi cerca; esercitare un supporto continuo; ...aiutare a visualizzare il processo di ricerca e le sue fasi; ...insegnare a tenere traccia dei passi della ricerca... essere presente come uno degli attori con cui chi ricerca può collaborare, in un ruolo di mediatore... ecc." le sue funzioni (l'autrice riprende qui gli studi di Carol Kuhlthau). Ora mi sembra che suggerire che tutto il lavoro di reference possa essere considerato (ai fini della promozione del servizio) servizio di consulenza, mi sembra un'enorme svalutazione di questo lavoro del bibliotecario che effettivamente svolge un lavoro di consulenza e che come tale deve avere una ben precisa professionalità che non è possibile (e forse neppure desiderabile) che sia in ogni biblioteca che attiva un servizio di reference, dalla biblioteca scolastica, alla pubblica, alla specialistica, all'universitaria, ma che deve essere evidenziata e collegata in modo estremamente efficace all'interno di ogni sistema in modo che il bibliotecario di reference di primo livello/contatto, una volta valutata l'esigenza informativa ad un livello appunto di ricerca, possa riorientare l'utente/cliente ad esso, ove l'utente/cliente stesso non si sia già da solo rivolto alla figura corretta.
Fondamentalmente mi sembra che il problema non sia di cambiare nome alla funzione, ma piuttosto di organizzare in modo appropriato a livello non tanto di singola biblioteca ma di sistema il servizio di reference in modo che esso possa funzionare appropriatamente a tutti i livelli (a livello di contatto tante volte funziona - un po' come i medici di base - come servizio consolatorio per utenti in cerca di rassicurazioni, ma va bene così a patto di non disperdere tempo e risorse di chi abbia professionalità diverse in questa mansione!) e in modo che ogni livello sia chiaramente definito, collegato agli altri e promosso per quello che realmente fa e sa fare. Se ad esempio in un sistema il bibliotecario presente in una piccola biblioteca pubblica monoposto sa che può riorientare una ricerca non genericamente presso la biblioteca capoluogo/centro-sistema, ma presso l'operatore XY e può addirittura fissare un appuntamento nel caso si accorga che la domanda informativa che gli viene rivolta non è risolvibile con gli strumenti documentari immediatamente a sua disposizione, non solo effettua un ottimo servizio, ma diventa anche un eccellente terminale per il buon funzionamento di tutto il sistema, e contemporaneamente fornisce anche una prima basilare lezione di information literacy al proprio cliente/utente mostrando l'importanza di sapere/ottenere l'indicazione su quale sia la fonte più autorevole in un determinato ambito su un determinato argomento.
Allo stesso modo ovviamente va declinato ed organizzato il
servizio di information literacy, tenendo conto che ogni transazione di
reference ha un suo livello anche di trasmissione di istruzioni su come
informarsi, ma che altresì tanto non è desiderabile che ogni biblioteca si
addossi il carico di un corso esplicito di information literacy quanto è invece
sperabile che in ogni sistema ogni biblioteca possa indirizzare i propri utenti
con esigenze siffatte ad un corso organizzato appunto a livello di sistema con
le forze e le risorse (economiche e professionali) di un sistema. Per far questo il libro della
Ballestra offre risorse preziose sia sul fronte della progettazione sia sul
fronte della realizzazione (oltre ad inquadrare dettagliatamente il quadro storico
della disciplina).
La Ballestra non è però avara di constatazioni amare sullo stato nazionale della disciplina. Si legge infatti: "La difficoltà di inserire in posizione centrale l'attività di educazione all'informazione nelle biblioteche civiche, a nostro parere [ma si condivide qui pienamente tale parere], dipende più dalle molte sollecitazioni che le biblioteche di pubblica lettura ricevono in altre direzioni che dall'assenza di reali bisogni sociali. Scelte strategiche orientate all'information literacy potrebbero consentire alle biblioteche pubbliche di avviare un rapporto nuovo con il pubblico adulto, superando in questo modo il limite riscontrato di una capacità di incidere al di fuori di un rapporto privilegiato con la scuola di base." E continua: "Oggi in Italia, forse, l'information literacy non può essere altro da quello che è, per almeno due ragioni. E' così come esito di un sistema educativo che sostanzialmente ignora la dimensione della ricerca e dell'indagine documentale come modo di apprendimento abituale degli studenti, quasi fosse possibile creare una società dell'informazione e della conoscenza prescindendo da un'educazione diffusa alla documentazione... La seconda ragione è che i bibliotecari italiani su questo fronte... non hanno mai sviluppato una visione compiuta e condivisa."
Chi conosce la realtà in cui mi muovo potrà stupirsi del fatto che le mie riflessioni non corrispondano ad un'altrettanto raffinata organizzazione dei servizi sul territorio. Non esiste nella realtà provinciale (e in questo caso l'aggettivo corrisponde anche ad un giudizio di valore) un servizio di reference cooperativo né tanto meno un qualsivoglia coordinamento per la realizzazione di corso di information literacy a livello sistemico. Peggio: interventi assolutamente introduttivi di information literacy proposti agli studenti del quinto anno delle locali scuole superiori (pensati e proposti come propedeutici alla realizzazione della tesina di maturità) su cui per altro insegnanti coinvolti avevano espresso pareri positivi, non sono stati più "richiesti" dalla direzione scolastica in favore di altri progetti evidentemente più interessanti per la didattica. Ma chi scrive si trova in questo completamente d'accordo con quanto espresso da Leombroni durante il "Sebina Day 2011" ovvero che sia necessario sognare: sognare servizi migliori, più efficienti, più rispondenti alla più alta idea di Biblioteca. Senza questi sogni corriamo il rischio di essere portati a fondo dalla bruta trivialità della realtà e potremmo cominciare a pensare anche noi - come si sente nel film Io, robot - che le biblioteche (e cone esse i bibliotecari, il servizio di reference e i corsi di information literacy) siano inutili nell'era di Internet. Ma quest'idea è tanto più pericolosa quanto più Internet è sempre meno un chiassoso ritrovo di tecno-hippy e sempre più il luogo dove si sfidano le aziende più potenti del mondo e dove la gratuità si muove di pari passo con le restrinzioni del copyright. Per questo saper indirizzare un utente/cliente verso la risorsa informativa più adeguata alle sue ricerche, sia essa una voce di Wikipedia, piuttosto che un'articolo tecnico/scientifico che potrà scaricarsi dopo che gli abbiamo fornito l'abstract, piuttosto che un testo tradizionalmente cartaceo è oggi più che mai un servizio di utilità cruciale. Il problema è che i primi a non saperlo sono i nostri clienti, e non tanto i clienti/utenti, ma i clienti interni, i politici di riferimento e i vari "stakeholder". Per questo è fondamentale più che mai riuscire a dare, alla biblioteca ed ai bibliotecari, una voce che riesca a giungere chiara a forte a decisori e stakeholder tramite advocacy e marketing interno. Un sogno? Appunto!
Commenti
Posta un commento