Ieri (18/11/2023) sono stato alla nuova fiera milanese del gioco in scatola ENTRAinGIOCO invitato da Fondazione Per Leggere a moderare il panel su Il gioco in biblioteca dove colleghe e colleghi bibliotecari/e di Milano e dintorni raccontavano eventi e servizi di “gaming in biblioteca”. Inizialmente non pensavo di preparare un intervento specifico, visto il numero di iniziative la cui esposizione era prevista. Giovedì però ho seguito (in streaming: avrei voluto andare a Firenze in presenza ma le mie energie con l’avanzare della vecchiaia stanno un po’ scemando…) il Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Biblioteche dedicato all’Intelligenza Artificiale nelle biblioteche e più in generale nel mondo non solo della cultura, dell’informazione, dell’istruzione.
Volevo assolutamente seguire l’esposizione di Gino Roncaglia (il cui nuovo libro ho letto non appena uscito e ne ho pure scritto per il manifesto, anche se il pezzo – come al solito – tarda ad uscire) ma anche gli altri interventi – sia di giovedì sia di venerdì – si prospettavano ed in realtà sono stati interessanti. Quello che però mi ha fatto balzare sulla sedia è stata – prevedibilmente? - la relazione di Riccardo Ridi. Ho deciso così di realizzare una breve presentazione che contenesse – come previsto – qualche suggestione sul gioco inclusivo, ma che partisse dalla riflessione, evidentemente non scontata, della ragione del servizio ludico nella biblioteca.
Riporto qui uno screenshot da cui si evince perfettamente il Ridi-pensiero:
Ridi sollecita il suo pubblico di bibliotecarie e bibliotecari nell’erogazione e nella progettazione del servizio bibliotecario a tenere come viatico il Codice deontologico dei bibliotecari da cui evince che le finalità delle biblioteche NON SONO:
socializzazione
partecipazione
supplenza di funzioni proprie di altri enti
soluzione di problemi non informazionali.
Suppongo che chiunque mi conosca, conosca il mio percorso professionale, che nell’ultimo decennio mi ha pure visto girare per la penisola a fare formazione biblioteconomica, possa immaginare il mio balzo sulla sedia. Perché la biblioteca in cui lavoro e in cui promuovo sembra l’esatto opposto da quella prefigurata da Ridi (e dal Codice deontologico) e riassunta invece in maniera eccellente dal seguente schema:
Si tratta di uno schema che ho utilizzato e commentato negli vari corsi di formazione effettuati e che disegna la biblioteca come una intersezione di 4 spazi:
spazio di apprendimento dove si può esplorare;
spazio di incontro dove si può partecipare
spazio performativo dove si può creare e
spazio di ispirazione dove ci si può emozionare
Questi 4 spazi si intersecano in 4 condizioni essenziali che la biblioteca deve offrire agli utenti: esperienza, potenziamento, coinvolgimento, innovazione. Esattamente nello spazio centrale, durante le formazioni svolte, ho sempre collocato il gioco, in quanto attività che riesce a fornire tutte queste condizioni.
Ma, evidentemente, secondo Ridi e secondo il Codice deontologico, questo non è biblioteca e non è attività professionalmente qualificante il bibliotecario e la bibliotecaria. Da dove salta fuori dunque lo schema proposto? Dalle Linee guida IFLA per i servizi bibliotecari per ragazze e ragazzi 0-18, 2. edizione pubblicata nel 2018 (la versione italiana nel 2021, anche se lo schema è ripreso da quella inglese dato che quella italiana lo riporta sempre in inglese ma, misteriosamente, in bianco e nero). Ora ammetto di non avere una cultura particolarmente approfondita in ambito giuridico ma, tendenzialmente, sono portato a pensare che una norma emanata a livello internazionale sia da considerare prevalente e sostitutiva rispetto a una norma nazionale precedente. Il Codice deontologico è stato infatti approvato dall’Assemblea AIB tenutasi a Torino durante il Salone del libro nel 2014. Ricordo benissimo quell’occasione poiché il testo del Codice fu votato a larghissima maggioranza, con due soli voti contrari: quello di Anna Maria Tammaro e quello del sottoscritto. Evidentemente pare che il tempo anche qui sia stato galantuomo e abbia dato ragione a me e alla professoressa Tammaro, anche se c’è chi, tra i docenti di biblioteconomia perlomeno perché mi sembra che tra i bibliotecari ormai il sentimento sia abbondantemente cambiato, ancora vagheggia di biblioteche polverose riservate agli studiosi seri che non devono essere infastiditi dal popolo in cerca di svaghi ed incontri, sia pure culturali.
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