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Temporalità di Heidegger e Attualismo di Gentile

Tempo fa, in un’omelia durante una messa, il parroco ha criticato la concezione di “essere per la morte” di Heidegger contrapponendola all’“essere per la vita” della religione cattolica, in particolare all’“essere per la vita eterna”, per la vita che ci aspetta oltre la morte. In questi giorni, spinto da questo pensiero, ma anche continuando una linea di ragionamento già abbozzata qui, ho affrontato la lettura di Essere e tempo di Martin Heidegger. Ovviamente Heidegger l’ho studiato all’università, ma le letture fatte, oltre ai testi come quello dedicato a lui da Vattimo ed a saggi presi da diverse opere, non avevano mai finora compreso l’opera maggiore e più famosa. Eccomi quindi a recuperare un testo acquistato circa 25 anni fa e poi riposto in attesa di tempo ed ispirazione. Ed il piacere di scoprire che il timore un po’ reverenziale che aveva contribuito a tenermene distante non era giustificato, o almeno non del tutto. L’opera è sì complessa ed oscura, ma riesce ad esprimere chiaramente la sua finalità. Ed il giudizio mio è che si tratti di un’opera tremendamente sopravvalutata. Intanto pur col suo dichiarare dimostrazioni, in realtà il testo non è altro che un enorme unica descrizione, direi addirittura narrazione, delle condizioni di esistenza umane a smontare radicalmente la quale basta prendere un qualsiasi bambini di tre anni che faccia quello in cui sono bravissimi i bambini di tre anni: chiedere “perché?”. Se ad ognuna delle innumerevoli affermazioni apodittiche che riempiono il libro ci mettiamo a chiedere irriverentemente “perché?”, ci rendiamo conto di rimanere praticamente sempre privi di risposta, perché, appunto, nonostante le pretese, quello che costruisce Heidegger non è un sistema e non è una dimostrazione. Filosoficamente parlando, un fallimento: non un caso che il secondo volume previsto non sia mai stato realizzato. Se infatti Heidegger riesce a destreggiarsi con estrema disinvoltura col concetto di essere, s’incarta e si blocca su quello di tempo. Ma procediamo con ordine.

Il rilievo del parroco è fuori luogo perché fondamentalmente Essere e tempo non è altro che il tentativo di “traduzione” di un’antropologia filosofica di matrice religiosa in termini filosoficamente laici. Considerando che per Heidegger l’uomo, meglio gli uomini, sono “Esserci”, cioè l’”Essere” (al singolare) che è gettato nel mondo attraverso la temporalità. L’Esserci, in quanto tale, è un essere-per.la-morte perché la morte chiudendo la temporalità dell’Esserci, lo toglie dalla gettatezza, elide il “Ci”, ritornandolo all’Essere originario. Anche nell’ottica cattolica la morte è una cesura fondamentale della vita, quella in cui si compie la somma delle azioni compiute in vita per capire la sorte dell’anima. Non un caso che per Heidegger l’esistenza autentica sia quella fondata sulla morte mentre quella inautentica sul “Si” della quotidianità e del mondo: in termini religiosi la vita autentica è quella che si svolge nel bene per arrivare con l’anima “pulita” di fronte al Giudizio, mentre quella inautentica è quella che si perde nelle banalità e nei vizi del mondo.

I problemi per Heidegger arrivano quando affronta il tempo. Ed arrivano perché Heidegger tenta di tenere assieme l’Esserci come soggetto con l’Esserci come persone reali all’interno della società. Se per la parte relativa all’Essere Heidegger si confronta con Platone e Aristotele, con Cartesio, Kant, Kierkegaard e Jaspers, evitando accuratamente i filosofi idealisti; per confrontarsi col problema del tempo non può fare a meno di andare a sbattere contro la concezione hegeliana, che sì critica, ma che alla fine non riesce a superare. Tra l’altro travisando la dialettica come negazione della negazione, mentre la dialettica, correttamente intesa, è il superamento di elementi reciprocamente contrastanti in una realtà di ordine superiore che insieme contiene entrambi ma, appunto, superandoli. In realtà cercando di descrivere la temporalità dell’Esserci, diversa dal tempo trivialmente inteso come succedersi d’istanti, come linea su cui descrivere le esperienze, scopro Heidegger incredibilmente vicino a quanto avevo scritto su tempo e morte nelle considerazioni relative al testo di Webber e Griliopolous già linkate. Heidegger scrive infatti:


L’Esserci non esiste come somma di realtà momentanee del genere delle esperienze vissute succedentisi e disparenti. Questa successione non è neppure in grado di riempire un qualunque tratto. Come potrebbe infatti riempirlo quando è sempre <<reale>> solo l’esperienza vissuta <<attuale>> e quando gli estremi del tratto, nascita e morte, mancano di realtà, essendo l’uno già passato e l’altro ancora da venire? In realtà, anche la concezione ordinaria della <<continuità della vita>> non vede in essa un tratto estendentesi <<al di fuori>> dell’Esserci, quasi a racchiuderlo, ma la cerca, e giustamente, nell’Esserci stesso. Tuttavia la tacita interpretazione di questo ente come una semplice-presenza <<nel tempo>>, condanna al fallimento ogni tentativo di determinazione ontologica, dell’essere <<fra>> la nascita e la morte.

È falso che l’Esserci, attraverso la successione delle sue realtà momentanee, percorra un cammino precostituito o un corso <<della vita>>; al contrario, l’Esserci estende se stesso in modo tale che il suo stesso essere risulta costituito dall’estensione. Il <<fra>> che congiunge la nascita con la morte getta le sue radici nell’essere stesso dell’Esserci. Mai l’Esserci <<è>> reale in un determinato punto del tempo e <<circondato>> dalla non realtà della sua nascita e della sua morte. Considerata esistenzialmente, la nascita non è e non è mai passata nel senso di una cosa non più presente, allo stesso modo che la morte non ha il modo di essere della <<mancanza>> di qualcosa di non ancora presente ma che sarà tale. L’Esserci effettivo esiste come essente nato e, in quanto tale, muore nel senso dell’essere-per-la-morte. Ambedue le <<fini>> e il loro <<fra>> sono fintanto che l’Esserci effettivamente esiste, e lo sono su quell’unico fondamento che è reso possibile dall’essere dell’Esserci in quanto Cura. Nascita e morte <<coeriscono>> esistenzialmente nell’unità dell’esser-gettato e dell’essere-per-la-morte autentico o inautentico. In quanto Cura l’Esserci è il <<fra>>. [pp. 449-450 della 10. edizione Longanesi del 1976 con cura e traduzione di Pietro Chiodi].
L’Esserci come temporalità distinta dal tempo come sequenza di istanti è il fiume visto complessivamente dalla sorgente alla foce come descritto nella critica a Webber e Griliopoulos. Ma la necessità sentita da Heidegger di vedere l’Esserci non come Soggetto o Spirito idealisticamente e soprattutto hegelianamente inteso ma piuttosto come l’ente esistenzialmente caratterizzato all’interno della società con gli altri enti allo stesso modo Esserci, fa scontrare la temporalità dell’Esserci con la Storia come sviluppo della comunità degli Esserci nel mondo. Già si nota lo stridore della contraddizione quando riprende il concetto nietzscheano (pur senza citarlo o commentarlo) di ritorno dell’identico. La temporalità dell'Esserci è un eterno ritorno pur restando aperto, nella propria autenticità, alla libertà della decisione. Ma se l’eterno ritorno dell’identico ha un suo senso all’interno dello sviluppo storico (come considerato nietzscheanamente) diventa un problema considerato all’interno della temporalità dell’Esserci (di ogni singolo Esserci). Come può darsi un “ritorno” all’interno della temporalità propria dell’Esserci? La complessiva unitarietà dell’esistenza dell’Esserci all’interno della sua limitatezza temporale non implica una mancanza di libertà nell’agire, cosa invece molto più difficile da spiegare nel caso di una ripetizione di tale temporalità, ed infatti non è spiegata. Di più: la finitezza temporale dell’Esserci cozza vistosamente col concetto di ritorno: o il ritorno ha dei limiti (come? quanti? perché?) o il ritorno è privo di limiti ed allora, pur all’interno di una temporalità apparentemente limitata, il ritorno illimitato toglie di fatto alla temporalità la sua limitazione. L’eterno ritorno, piuttosto che una reiterazione, come letteralmente interpretato il concetto, può essere la coesistenza al di fuori della temporalità dell’esistenza dell’Esserci, il superamento dei singoli istanti dell’esistenza dell’essere-nel-mondo, del Si-stesso nel concreto Esserci come processo che comprende in sé passato, presente e futuro. Il tempo costituisce, per Heidegger, un problema che si rivelerà insuperabile, incapace di conciliare la temporalità dell’Esserci, di ogni Esserci, con il tempo del mondo e con la Storia; incapace di collocare adeguatamente il tempo nel quadro così accuratamente delineato sull’essere dell’Esserci: il tempo è un ente? è un essere? è un utilizzabile? Paradossalmente se il tempo è uno scoglio arduo, la questione dello spazio viene sottovalutata e praticamente ignorata. Lo spazio come tale per Heidegger in Essere e tempo non esiste in quanto sottocategoria mondana dell’dis-allontanamento dell’utilizzabile. Al contrario lo spazio non va considerato kantianamente diversamente dal tempo, anche perché spazio e tempo sono, assieme, l’orizzonte della esistenza nel mondo dell’Esserci.


Curiosamente, nel passo citato, Heidegger utilizza una parola che ci rimanda ad un esito dell’idealismo. Nonostante infatti che le principali opere teoretiche di Giovanni Gentile nel 1927, all’epoca della prima pubblicazione di Essere e tempo, fossero già state pubblicate (La riforma della dialettica hegeliana è del ‘13, la Teoria generale dello spirito come atto puro del ‘16 e il Sistema di logica come teoria del conoscere del ‘16-’22), è improbabile e comunque non accertato che Heidegger fosse a conoscenza dell’”idealismo attuale”, una strana declinazione dell’hegelismo “di sinistra” che sfociava analogamente al marxismo nella “filosofia della prassi” distinguendosi dal marxismo per non concedere priorità ai modi di produzione ed al primato dell’economia. Per rinfrescare la conoscenza dell’attualismo gentiliano sono andato a rileggermi la Teoria generale dello spirito come atto puro (nella settima edizione riveduta pubblicata da Le Lettere nel 1987) [tra parentesi, per quanto fosse un testo già letto, anche se oltre trent’anni fa, per quanto abbia letto tutte le opere sistematiche di Gentile e buona parte delle altre, per quanto si tratti di un testo lungo circa la metà di quello heideggeriano, per leggerlo ho impiegato non più di cinque giorni contro al mese dedicato ad Essere e tempo nonostante che per quest’ultimo abbia anche avuto a disposizione una settimana passata in malattia: forse anche perché il testo di Gentile nasce da un corso di lezioni, la sua prosa è spesso limpida ed alla ricerca attiva della comprensione del lettore]. In Teoria generale dello spirito come atto puro Gentile dedica un intero capitolo (il nono) al problema dello spazio e del tempo. È da osservare che - simmetricamente a quanto accade con Heidegger - il tempo viene ridotto alla soluzione del problema dello spazio fondamentalmente richiamando - in modo analogo a quanto fa Heidegger - la trattazione hegeliana relativa. Ma se andiamo a cercare all’interno del testo gentiliano troviamo pagine ben più pregnanti al riguardo. In particolare là dove critica la visione particolaristica tramite l’esempio dell’albero. Parlando dell’albero non possiamo suddividere la visione sul seme, o sull’arbusto, o sul pieno della suo accrescimento e neppure alla fine quando è malato e morente, ma lo vediamo nella sua interezza temporale. E tale esempio collima perfettamente dal punto di vista temporale con quello del fiume fatto dal sottoscritto e già citato. Per unire in un unico esempio l’aspetto di spazio e di tempo prendiamo allora il poema sinfonico La Moldava di Bedrich Smetana. In questa composizione per orchestra, Smetana descrive musicalmente il corso del fiume dalle sorgenti fino al passaggio per Praga. Da una parte abbiamo il fiume reale, dalle sorgenti, alle zone rurali che attraversa impetuoso, fino ad arrivare disteso e maestoso ad attraversare la capitale Ceca; dall’altra abbiamo la descrizione musicale, fatta di sette parti ognuna della quali propone in contesti diversi e con differenti variazioni il tema scelto dal compositore per caratterizzare il fiume. La dimensione dello spazio attraversato dal fiume si traduce nel tempo in cui si svolge la composizione musicale. Entrambe tali dimensioni, divise - come pure possibile - in singoli, particolari componenti, non rappresentano più il fiume, nella sua concretezza geografica o musicale. Solo nella loro completezza possiamo parlare di Moldava.

Per questo l’errore di Heidegger è di separare spazialità e temporalità e pensare che abbiano un impatto sostanzialmente diverso sull’essere dell’Esserci. L’Esserci si rapporta allo spazio tramite il dis-allontanamento dalle ed il prendersi cura delle cose nell’ambito della loro utilizzabilità. Allo stesso modo l’Esserci si esprime nella dimensione della propria temporalità. Passato e futuro, c’insegna Gentile, sono momenti astratti del costante farsi dell’Io. Allo stesso modo la Storia è Storia solo in quanto studiata e rivissuta concretamente dall’Io non in quanto mera raccolta cronologica di “fatti”. In questo senso il problema insuperabile heideggeriano è fondamentalmente che pone l’Esserci come fatto (soprattutto dal punto di vista della sua temporalità), piuttosto che consapevolmente e continuamente come atto, come Io che pone sé stesso nel mondo: spazialmente e temporalmente. L’essere-per-la-vita, attualisticamente inteso, non è per una vita ulteriore ed ultramondana, ma per la vita qui ed ora che concretamente ci facciamo ogni giorno, anzi: ogni momento. Questa è la vita con cui concretamente dobbiamo confrontarci in quanto Io che si fa continuamente, e che dobbiamo, in ogni momento, rendere significativamente concreta.


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