Passa ai contenuti principali

L'io tra identità e differenza (o della filosofia spiegata coi videogiochi)

Sto leggendo il libro Ten Things Video Games Can Teach Us (About Life, Philosophy and Everything) di Jordan Erica Webber e Daniel Griliopoulos (Robinson, 2017) che illustra i concetti fondamentali della filosofia utilizzando esempi tratti dal medium videoludico. Ad esempio "conoscenza e scetticismo" sono analizzati mediante la serie di Legend of Zelda e (tra gli altri) Max Payne, Heavy Rain, Assassin's Creed; la filosofia della mente è indagata attraverso (tra gli altri) The Talos Principle, Soma, Omikron: The Nomad Soul, la serie di Mass Effect; ecc. Sono arrivato all'incirca a metà, al concetto di identità personale e sopravvivenza analizzato a partire dal capolavoro videoludico BioShock Infinity. In questo videogioco abbiamo due antagonisti - Booker DeWitt e Zachary Comstock - che si rivelano essere la stessa persona che, ad un certo punto della vita, di fronte ad una scelta cruciale in un possibile mondo ha fatto una scelta ed in un mondo possibile alternativo ha compiuto una scelta diversa. A partire da quella scelta i due mondi possibili si sono distanziati notevolmente anche perché in uno dei due quella scelta ha avuto un incidenza non solo sulla vita del protagonista ma anche sulla società della sua epoca. In particolare Zachary Comstock (come si rinomina DeWitt dopo la scelta compiuta di battezzarsi ed iniziare una nuova vita) finanzia la ricerca scientifica che gli permette di creare Columbia la città volante e di rapire la figlia del suo alter-ego di un'altra linea temporale. In realtà a Ken Levine, autore di BioShock Infinite, interessa non tanto la questione filosofica sull'identità quanto piuttosto quella etica sulle conseguenze delle proprie scelte e sul continuum che attraverso esse viene creato. Ma seguiamo il ragionamento di Webber e Griliopoulos: Comstock e DeWitt sono la stessa persona o due persone diverse? Nello sviluppo del ragionamento presentano il principio dell'indiscernibilità degli identici ovvero se due cose sono uguali allora non sono due ma una sola. Pensiamo ad esempio a due gemelli: sono uguali quindi non sono due ma uno solo? Evidentemente no, ma si può tranquillamente affermare che due gemelli solo ad uno sguardo distratto sembrano uguali, ma in realtà non lo sono completamente. Ma il dubbio è: nell'universo ci possono essere due cose completamente identiche? Ad esempio gli elettroni, particelle elementari, che sono appunto definite "particelle identiche": ogni elettrone è identico all'altro e perfettamente sostituibile con esso per massa, carica elettrica e spin. Questo significa che tutti gli elettroni sono in realtà un unico elettrone? No perché comunque c'è qualcosa che li differenzia: la posizione di ognuno nello spazio e nel tempo. Avendo in mente questa caratteristica fondamentale torniamo a Comstock/DeWitt: anche se in passato hanno potuto essere la stessa persona, nel presente (quando accadono gli avvenimenti rappresentati nel videogioco) i due hanno qualità diverse e quindi sono, a tutti gli effetti, persone diverse. Ma questo cosa ci dice sulle persone reali? Ad esempio io: ora sono la stessa persona di vent'anni fa? Dal punto di vista della riflessione condotta fino a qui no, perché vent'anni fa avevo esperienze diverse da ora (non ero ancora sposato, non avevo figli, ecc.). Questo significa che l'io di vent'anni fa e l'io attuale siamo due persone diverse? È evidentemente un problema. Del resto già Eraclito, 500 anni prima di Cristo, affermava che "Non si può discendere due volte nel medesimo fiume". D'altra parte l'affermare che ogni nuova esperienza ci renda una persona diversa è controintuitivo dato da una parte che la memoria da una parte mi permette di ripercorrere la mia storia come storia di una persona, la legge dall'altra nel caso di un ipotetico reato commesso nel passato non mi consente di difendermi adducendo a giustificazione il fatto che che l'io di oggi e l'io di vent'anni fa sono persone diverse.
Booker DeWitt e Zachary Costock
Di solito quando pensiamo all'io, pensiamo all'io qui ed ora, il cogito ergo sum cartesiano (citato anche da Webber e Griliopoulos), all'immediatezza della certezza di essere io che pensa di essere qui ora a pensare (e a scrivere). Ma l'io qui e ora è la metabolizzazione di tanti io allora ed altrove. Avendo tirato in ballo Cartesio continuiamo a far riferimento a lui chiedendogli in prestito il piano cartesiano. Sulle ascisse immaginiamo di mettere la sequenza temporale della vita di una persona, sulle ordinate la quantità delle sue esperienze. Ancora meglio: immaginiamo di proiettare nella dimensione temporale (quindi in 4D) la vita di una persona esattamente come si proietterebbe una figura piana nello spazio per ottenere geometricamente un solido tridimensionale. Immaginiamo quello che otterremmo: tutta la vita di una persona che si allunga nel tempo come una sorta di lombrico, dove ogni anello è una nuova esperienza che lo accresce. O se il paragone sembra troppo schifoso pensiamo piuttosto al fiume eracliteo con la coscienza che scorre come l'acqua che contiene.
Ma l'io è tutto il lombrico/fiume o piuttosto è la coscienza (meglio: l'autocoscienza) che in un singolo momento ci fa dire cogito ergo sum? Per tornare ai paragoni: tutto il lombrico/fiume o piuttosto un singolo anello/goccia al suo interno? A rispondere alla domanda ci aiuta la dialettica hegeliana: l'io come coscienza la tesi, l'io come creatura che vive in un arco temporale definito l'antitesi, l'io come essere umano che si distende nel tempo ed allo stesso tempo lo trascende la sintesi.
Torniamo però alla questione indagata da Webber e Griliopoulos che non s'interroga solo sull'identità ma anche sulla sopravvivenza. Ovvero se esista un io distinto dal corpo (un'anima) che possa sperare di sopravvivere alla morte. Sul tema abbiamo la potente suggestione heideggeriana che con "essere per la morte" suggerisce che la morte sia il suggello e l'inveramento delle esperienze e delle scelte compiute in vita che al contrario nell'ipotesi di una vita infinita sarebbero insignificanti essendo sempre sostituite da altre. Il concetto di "essere per la morte" vuole spingere a esperienze e scelte significative ma può anche essere percepito come l'indirizzamento ad un edonismo estremistico. Dall'altro lato abbiamo la posizione cristiana (ma che è paragonabile a quella delle altre religioni monoteistiche e non solo) che potremmo definire "essere per la vita ultraterrena" nel senso che la vita "vera" non è quella del mondo terreno ma piuttosto quella a cui accediamo attraverso la morte intesa come passaggio e la cui qualità sarà commisurata alle azioni ed alle scelte compiute fino al passaggio stesso. Anche questa posizione, attraverso il giudizio, vuole caricare sulle persone la responsabilità delle proprie scelte ed azioni ma a sua volta presta il fianco a condotte puramente rinunciatarie (pensiamo ad esempio a stiliti o alle monache di clausura). Il dubbio che personalmente mi ha roso relativamente al concetto di vita dopo la morte è: la vita di chi? Se l'io è la coscienza, il cogito ergo sum hic et nunc, nella vita dopo la morte quale io sarà a sopravvivere? L'io al momento della morte (che se arriva sperabilmente avanti negli anni vedrà una coscienza forse affievolita e mutilata)? Un io che idealmente sia la somma o la media ponderata di tutti gli io transitati per la nostra vita? Ovviamente queste domande sono possibili solo considerando l'io (e l'anima) come entità disgiunta esistenza reale della persona. Ma anche la posizione heideggeriana ha lo stesso problema: presuppone un dopo in cui la persona si possa idealmente proiettare per misurare di volta in volta la qualità delle proprie scelte ed esperienze. La soluzione resta quella precedentemente individuata: se consideriamo la dimensione temporale come dimensione costitutiva dell'essere (umano), cioè l'io non come coscienza ma come essere costituito da un corpo consapevole che si sviluppa nel tempo, l'io come "processo". Ritorniamo all'analogia del fiume: il fiume è lì, persiste, ma la coscienza, l'hic et nunc del cogito ergo sum, lo percorre passando dal timido fresco ed allegro percorso iniziale alle tumultuose ripide al corso aperto e tranquillo prima di sfociare nel mare, sempre nutrito di nuova acqua dagli affluenti. La goccia però non "muore" nel mare ma ritorna al fiume e con questo "eterno ritorno" nel corso dei secoli trasforma il fiume stesso, ne cambia percorso e connotati. Quello dell'"eterno ritorno" è un'ipotesi e un problema - già pensato tanto da Nietzsche che dalle filosofie induiste -: un problema perché normalmente la nostra coscienza non ha consapevolezza di rivivere la vita e senza consapevolezza non è possibile compiere scelte differenti (e infatti il concetto nietzscheano è "eterno ritorno dell'identico"). Ma l'eternità dell'essere non è in una continuazione spirituale (che non sono qui a negare: si tratta di fede e mistero e come tale resta indimostrabile e inconfutabile) ma nella condizione temporale della coscienza, non dell'essere umano in sé: è la coscienza (come prodotto di sensazioni corporee e di valutazioni mentali) che si sposta nel tempo non l'essere umano in sé che nel tempo permane. Tornando al fiume: la goccia passa, il fiume resta.
Per concludere torniamo all'identità/differenza tra Comstock e DeWitt: a differenza dei due che sono uno non ci è concesso se non nella fantasia d'immaginare quali avrebbero potuto essere le conseguenze se le nostre scelte fossero state diverse (e del resto anche BioShock Infinite è un'opera di fantasia), non ci è consentito esplorare preventivamente i risultati delle nostre scelte e neppure tornare indietro sui nostri passi per cambiare gli errori commessi. La nostra condanna come coscienze umane hic et nunc è sempre di essere come la storia nella canzone di Laurie Anderson (che riprende Walter Benjamin):

She said: What is history?
And he said: History is an angel being blown backwards into the future
He said: History is a pile of debris
And the angel wants to go back and fix things
To repair the things that have been broken
But there is a storm blowing from Paradise
And the storm keeps blowing the angel backwards into the future
And this storm, this storm is called Progress
Evidentemente però tale condizione è presente solo se restiamo ancorati all'ottica dell'io come coscienza. Condizione che ci illude di poter compiere scelte completamente libere e di pagarne il fio quando queste si dimostrano errate. Al contrario se ci mettiamo nell'orizzonte dell'io come creatura l'impressione è quella che nessuna scelta sia veramente tale ed è in quest'ottica che Nietzsche esorta a compiere con volontà consapevole quelle decisioni che non possiamo non prendere perché già prese nel ciclo dell'eterno ritorno. Nell'ottica dell'essere umano vediamo invece come la libertà sia una sfera di possibilità limitata sempre più man mano che la coscienza progredisce in direzione della conclusione dell'arco temporale dell'essere. Ogni esperienza, ogni scelta, porta ad una crescita e contemporaneamente ad una limitazione della libertà possibile fino a quando nessuna scelta è più possibile e si chiude l'arco temporale disponibile per la creatura. Il problema rimane quello se la coscienza possa tornare in un nuovo ciclo e se il ciclo possa mutare le condizioni oppure se esse rimangano inesorabilmente tali. Nella storia immaginata da Ken Levine, mediante gli squarci, è possibile che due possibili diversi si incontrino e misurino le differenti scelte compiute. Di più: è possibile tentare di aggiustare le cose che sono state infrante. Ma questo è possibile non per una qualche qualità intrinseca dell'essere umano ma tramite il rapporto con altri esseri umani. In BioShock Infinite tramite Elizabeth, figlia di DeWitt e rapita da Comstock sostanzialmente per invidia. È proprio Elizabeth la vera protagonista della storia (nonostante il fatto che nel videogioco il giocatore controlla il personaggio DeWitt) e il non rendersene conto porta il discorso di Webber e Griliopoulus a considerazioni abbastanza inconcludenti a dimostrazione del fatto che, qualunque cosa si voglia far dire ad un videogioco (o a qualsiasi altra opera d'arte), prima occorre averla capita. È l'essere di Elizabeth che mette in gioco i diversi destini del personaggio uno e duplice Comstock/DeWitt. Così come è solo nel rapporto con gli altri esseri umani che l'essere umano apre (ma contemporaneamente chiude) la propria sfera di libertà e azione. Concludiamo la riflessione chiamando "processo" l'essere umano come sintesi di coscienza e di esistenza. Nella consapevolezza che nessun processo può esistere da solo ma ognuno ha senso in quanto si rapporta, influenza ed è influenzato da altri processi. Come un fiume non può esistere a prescindere dal territorio che attraversa e che lo circonda, così nessun processo può esistere senza una rete di relazioni che lo definisca, anche polemicamente.

Elizabeth
Ma questa è un'altra storia ed attendo di aver letto gli altri capitoli del libro per vedere come tali temi saranno trattati.

Commenti

I post più popolari nell'ultimo anno

Contro la divinazione fast-food: lo "I Ching"

I miei figli ogni tanto si e mi domandano quale esattamente sia la mia fede religiosa. Un po’ per scherzo un po’ no, dico loro che sono taoista: del resto ho riletto il Tao Te Ching (meglio: il Daodejing secondo la translitterazione Pinyin; per motivi puramente sentimentali mi sia perdonato l’uso della vecchia translitterazione Wade-Giles per parlare del Libro della Via e della Virtù ) svariate volte e ne posseggo almeno 4 edizioni significative (Adelphi, Utet e due diverse Einaudi). Certo la mole è diversa rispetto ad altri testi "sacri" quali la Bibbia o il Corano, ma per certi versi contrapposta alla difficoltà e profondità del messaggio. Tuttavia non vorrei qui parlare del Tao Te Ching , quanto di un altro classico cinese ancora più antico: Il libro dei Mutamenti o I Ching (Pinyin: Yijing ). La composizione dell’ I Ching risale a oltre un millennio prima della nascita di Cristo come forma di registrazione delle divinazioni fatte utilizzando le ossa degl

Homo ludens: play e game

  La lettura di Homo ludens di Johan Huizinga, il testo che per primo consapevolmente e programmaticamente analizza il gioco all’interno della storia e della cultura umana, e che per questo viene considerato all’origine dei “game studies” ( vedi qui per un parallelo tra l’analisi huizinghiana e l’antico classico cinese I Ching ), pubblicato originariamente nel 1939, nell’edizione italiana (quella utilizzata dal sottoscritto è del 2002) Einaudi si arricchisce di un saggio introduttivo di Umberto Eco del 1973: “Homo ludens” oggi . Sinteticamente Eco rimprovera ad Huizinga di non considerare nel suo testo la dicotomia, perfettamente esplicitata in lingua inglese, tra play e game . Play , l’oggetto del libro huizinghiano, è l’attività ludica, il giocare. Game è invece il sistema di regole e meccaniche del gioco. Nella sua critica ha ragione a sottolineare come Huizinga, che pure sottopone ad una analisi linguistica approfondita il concetto di gioco passando dalle lingue primitive a quel

No more Facebook

Ormai da più di un mese il mio account Facebook è bloccato. Tutto è iniziato con la richiesta di Facebook di caricare un documento d'identità fotografandolo tramite una app messa direttamente a disposizione dal social. Da allora il laconico messaggio che mi si propone è il seguente: Il controllo delle tue informazioni potrebbe richiedere più tempo del solito Grazie per aver inviato le tue informazioni. Le abbiamo ricevute correttamente. A causa della pandemia di coronavirus (COVID-19), disponiamo di un numero inferiore di persone addette al controllo delle informazioni. Il controllo del tuo account potrebbe richiedere più tempo del solito. Facciamo sempre molta attenzione alla sicurezza delle persone su Facebook, pertanto fino ad allora non potrai usare il tuo account. Grazie per la comprensione.  Ora, dopo il tempo passato, il messaggio è evidentemente farlocco dato che anche la pubblica amministrazione più inefficiente e disorganizzata sarebbe riuscita in oltre un mese a controll