Qualche tempo fa Antonio Bianchi, del Centro Studi Inbook mi ha prestato un libro consigliandomene caldamente la lettura: Metodi dialogici nel lavoro di rete: per la psicoterapia di gruppo, il servizio sociale e la didattica di due ricercatori e psicoterapeuti finlandesi Tom Erik Arnkil e Jaakko Seikkula (Erickson, 2013). Il libro propone di sostituire i vari approcci psicoterapeutici per il trattamento del disagio psicologico e sociale con il metodo dialogico: in particolare con i due approcci del Dialogo Aperto e del Dialogo Anticipatorio. Approcci piuttosto che tecniche in quanto non serie di istruzioni formalizzate che il terapeuta deve di volta in volta seguire ma piuttosto una modalità di confrontarsi con l’altro che abbia le caratteristiche della rete e del rispetto. Della rete perché deve essere coinvolta tutta la rete familiare ed amicale (ed eventualmente anche lavorativa) del soggetto che soffre. Del rispetto perché il terapeuta si deve porre non sul piedistallo del prescrittore di rimedi, quanto piuttosto nelle vesti del facilitatore: di colui che facilita il riannodarsi dei legami costitutivi della rete attraverso l’esplicitazione dei vari punti di vista.
Il Dialogo Aperto prevede appunto che la persona che soffra possa discutere della propria sofferenza senza timore in un contesto aperto con la famiglia e gli amici con il terapeuta garante del rispetto per la sua voce, per quanto essa possa apparentemente essere distorta o influenzata da stati allucinatori. Il Dialogo Anticipatorio chiede ai partecipanti alle sedute di immaginarsi in un prossimo futuro in cui i loro problemi siano felicemente risolti e chiede loro altresì di spiegare come si sia potuti giungere a tale conclusione.
Se il Dialogo Aperto mi lascia qualche perplessità in quanto sono consapevole di come in alcune situazioni ci si trovi di fronte a soggetti che apparentemente mostrano piena e collaborativa disponibilità mentre applicano costantemente un approccio manipolatorio alla relazione (come non ricordare Normalità e follia nella famiglia dove Laing ed Esterson mettevano in luce come la follia fosse nei casi esaminati sempre in qualche modo innescata da apparentemente benintenzionati familiari che riuscivano ad innescare il “doppio legame” ai danni dell’elemento più fragile), il Dialogo Anticipatorio è contemporaneamente una strategia semplice e geniale. Ovviamente a disposizione per casi non eccessivamente gravi ed in cui la soluzione sia effettivamente alla portata dei protagonisti, permette alle persone con problemi e con la rete di affetti e di collaborazione di proiettarsi al di là della risoluzione del problema e di tornare indietro per esaminarne la soluzione mediante una sorta di immaginario (ma non per questo meno efficace) “reverse engineering”. La stessa possibilità che il soggetto con problemi veda una soluzione possibile, spinge la sua rete di collegamenti a coinvolgersi attivamente per renderla reale.
Mi sia però consentito un collegamento ardito. Arnkil e Seikkula pongono l’approccio dialogico a disposizione specialmente della psicoterapia di gruppo, del servizio sociale e – con meno approfondimento – della didattica, ma il loro approccio mi pare si possa estendere. Quale il rapporto tra “dialogo” e “conversazione”? Prendo dal vocabolario online Treccani:
dïàlogo s. m. [dal lat. dialŏgus, gr. διάλογος, der. di διαλέγομαι «conversare, discorrere»] (pl. -ghi). – 1. a. Discorso, colloquio fra due o più persone: prendere parte al d.; ebbero un d. animato; ho udito alcune battute del d. fra i due; fig., fare un d. con sé stesso, con i proprî pensieri. Per estens., nel linguaggio polit. e giornalistico, incontro tra forze politiche diverse, discussione più o meno concorde o che miri a un’intesa: il d. fra Oriente e Occidente; aprire un d. fra partiti contrapposti; in senso più ampio, discussione aperta, di persone disposte a ragionare con spirito democratico: mio padre non accetta il d.; tra noi manca il d., ognuno resta della sua opinione.
conversazióne s. f. [dal lat. conversatio -onis «il trovarsi insieme», der. di conversari: v. conversare2]. – 1. a. Il trovarsi insieme di più persone per conversare; ritrovo, circolo: c. di artisti, di intellettuali; c. mondane; frequentare le c.; essere ricercato nelle c.; ormai disus. tenere conversazione, tenere salotto, ricevere in casa ospiti per ritrovo, spec. la sera; saper stare in conversazione. b. Più comunem., il fatto di conversare, amichevole colloquio di più persone: fare un po’ di c.; partecipare alla c.; una c. piacevole, animata, briosa, frivola, noiosa; la c. languiva. Anche, colloquio in senso generico: ho avuto una lunga c. con il segretario dell’ente; c. telefonica.
Entrambi i significati pertanto s’intersecano nel colloquio, nell’attività di parlare, di comunicare tra più soggetti. R. David Lankes ci dice nel suo Atlante della biblioteconomia moderna esattamente che la conoscenza è conversazione e che il bibliotecario ha il compito di fungere da facilitatore di tale conversazione. In questo senso lo psicoterapeuta, l’insegnante, il bibliotecario sono tre figure diverse con differenti e spesso inassimilabili competenze e tuttavia, ognuno nel proprio campo - rispettivamente il sostegno al disagio, l’istruzione, il supporto alla formazione formale e continua – hanno al fondo la medesima “mission”: facilitare i dialoghi/conversazioni all’interno delle comunità di riferimento. Per certi versi questa è un’osservazione banale, ma per altro verso è assolutamente straordinaria. Pone le basi infatti per una prospettiva unitaria per il lavoro culturale e sociale. Soprattutto richiede che tante tecniche e competenze professionali nei rispettivi ambiti siano ri-discusse per trovare i punti di connessione in modo che possa essere (ri-) creata una rete tra esse.
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