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L'oscuro linguaggio della Pubblica Amministrazione

Sono già passati due anni e mezzo da quando, un po’ per gioco e senza nessuna particolare aspirazione “accademica”, ho pubblicato su questo blog un post esaminando una comunicazione istituzionale del mio Comune di residenza (e mio datore di lavoro dal 1987 al 2021). La comunicazione che esaminavo era un avviso relativo ai contributi per i libri di testo pubblicato sul sito istituzionale e le relative news sui social. In particolare sottolineavo come la comunicazione fosse ben poco “leggibile”, soprattutto da coloro a cui era principalmente indirizzata – famiglie in difficoltà economiche che potevano usufruire di un contributo economico per l’acquisto di testi scolastici per i figli – essendo scritta in “burocratese” piuttosto che in un linguaggio accessibile. Il motivo della mia attenzione alla comunicazione di questo Comune era dovuto al fatto che, prima del 2018, per diversi anni mi ero occupato anche della comunicazione sul sito istituzionale del Settore socio-educativo, al cui interno era collocato all’epoca il Servizio bibliotecario. Il lavoro principale era quello di “tradurre” le comunicazioni ufficiali, comunque allegate alle news, in comunicazioni ispirate alle giornalistiche “cinque W” e, in generale, allineate a quanto previsto, fin dal 1993, dal Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche realizzato su impulso di Sabino Cassese, all’epoca Ministro della Funzione Pubblica (il testo, pubblicato nei Quaderni del Dipartimento per la Funzione Pubblica dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, può essere recuperato in pdf qui). Pur non occupandomi più direttamente per lavoro di comunicazioni all’utenza, sono interessato alla comunicazione inclusiva e accessibile (come è facile scoprire scorrendo i post di questo blog e, per chi mi conosce professionalmente, ricordando tutto lo sforzo profuso nella promozione della Comunicazione Aumentativa Alternativa) ed è per questo motivo che ho salutato con estremo interesse l’uscita della raccolta di contributi a cura di Maria Emanuela Piemontese Il dovere costituzionale di farsi capire. A trent’anni dal Codice di stile (Carocci, 2023).

Purtroppo il quadro che viene delineato dai vari interventi, tra cui una illuminante prefazione dello stesso Cassese, è desolante. A differenza di quanto avrei supposto, la responsabilità della oscurità nella comunicazione della Pubblica Amministrazione (in realtà gli interventi si focalizzano maggiormente sul linguaggio delle leggi che sulle comunicazioni dirette ai cittadini) viene individuato non nella pervicace ostinazione dei funzionari pubblici a non aggiornarsi sulle modalità ottimali di comunicazione efficace e accessibile oltre che alla normativa in tal senso (ostinazione che non manca ma che piuttosto è una conseguenza), quanto piuttosto alla classe politica e soprattutto alla classe politica attuale, che è arrivata, grazie anche alle ultime riforme, ad un “sistema” per cui le leggi prodotte sono quasi necessariamente in contrasto con la comunicazione accessibile. Già dalla sintetica ma estremamente approfondita prefazione di Cassese è possibile intravedere il quadro generale, che viene poi approfondito negli interventi dei vari autori. A questo punto mi sia perdonata un’ampia citazione della prefazione, dato che con parole mie non potrei certamente spiegare meglio la situazione dello stesso Cassese:

Per valutare le cause [dell’oscurità degli atti giuridici], bisogna considerare, ad esempio, che i maggiori mutamenti dell’attività legislativa degli ultimi dieci anni sono costituiti dallo spostamento della relativa funzione dal Parlamento al Governo [spostamento favorito, come si rileva in diversi degli interventi, anche dalla riforma relativa alla riduzione del numero dei parlamentari] e dall’assunzione, da parte del Parlamento, di un’altra funzione, quella amministrativa. Un altro cambiamento importante è costituito dal fatto che il Parlamento produce un minor numero di norme, ma molto più lunghe di trent’anni or sono, e dal fatto che le norme passano meno frequentemente al vaglio delle commissioni parlamentari, e vengono approvate direttamente dall’aula parlamentare.

[…] Le leggi sono scritte in modo scarsamente comprensibile per i seguenti motivi: in primo luogo, essendo il Governo divenuto ormai il principale legislatore, la redazione delle norme è opera del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL), la struttura di supporto al presidente del Consiglio dei ministri nella funzione di coordinamento dell’attività normativa del Governo. Esso è normalmente composto da magistrati amministrativi non esperti di legistica, ma molto pratici nello scrivere sentenze. La scrittura delle sentenze risponde a una logica interamente diversa dalla scrittura delle norme. Infatti, le norme comandano o indirizzano la società civile, le sentenze rispondono agli argomenti presentati dalle parti, in contraddittorio tra di loro. Chi scrive una sentenza deve tener conto degli argomenti delle parti e ad essi rispondere.

In secondo luogo, l’oscurità delle leggi deriva dal ruolo svolto dal Parlamento in sede di conversione in legge dei decreti-legge approvati dal Governo. La conversione in legge deve avvenire entro 60 giorni e di solito in quella sede il numero delle norme viene frettolosamente raddoppiato e talvolta anche triplicato dal Parlamento, perché quest’ultimo, ascoltando i più diversi interessi della società civile, vi aggiunge provvedimenti che assumono la forma di legge, ma hanno sostanza di provvedimenti amministrativi, perché non astratti e generali, ma concreti e speciali.

In terzo luogo, l’oscurità delle leggi assicura al Governo e al Parlamento uno scudo, risponde cioè all’intento di non farsi intendere: svolge quindi lo stesso ruolo della messa recitata in latino. L’oscurità programmatica, diretta a non farsi capire, si accentua quando il Parlamento opera – come accade nella maggior parte dei casi – più come organo di rappresentanza di interessi che come organo di rappresentanza politica. In questo caso, interessi sociali e interessi del corpo statale confluiscono allo stesso fine.

In ultimo, l’oscurità è in larga misura anche frutto di pigrizia e trascuratezza. [pp. 8-9]

Da questa oscurità delle leggi discende l’ampollosa oscurità dei funzionari amministrativi che si rifugiano nel formulario ereditato piuttosto che cercare strade per migliorare la comunicazione. Nel suo saggio, la curatrice Maria Emanuela Piemontese segnala come una stagione di intensa preoccupazione per l’accessibilità comunicativa seguita al Codice di stile (al cui gruppo di lavoro aveva partecipato) con la pubblicazione del Manuale di stile nel 1997 e del progetto istituzionale Chiaro! del 2002 sia progressivamente finita nel dimenticatoio:

[…] la retromarcia […] è in corso già da anni. I riferimenti al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici del 2001, del 2013 e del 2023 parlano chiaro:

  • nel comma 4 dell’art. 11 (Rapporti con il pubblico) del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 2001, si legge: «Nella redazione dei testi scritti e in tutte le altre comunicazioni adotta un linguaggio chiaro e comprensibile»;

  • nell’art. 12 (Rapporti con il pubblico) del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, scompare ogni riferimento all’uso di un linguaggio «chiaro e comprensibile» da parte del dipendente;

  • nell’art. 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, tra le modifiche apportate al D.P.R. 62/2013, manca ogni riferimento all’uso del linguaggio. [p. 30]

Dal libro si estraggono saggi gustosi di tale linguaggio ampolloso e oscuro e vengono condotti “carotaggi” per mostrare come le leggi attuali siano assai più verbose e contorte di quelle di fine ‘800 e di inizio ‘900. Nonostante alcuni esempi di buone pratiche sostenute da uffici “illuminati”, l’orizzonte – lo ripeto – è desolante. E se non stupisce più di tanto lo stolido maschilismo dei documenti burocratici (spassoso l’esempio tratto da un modulo dell’Ospedale de L’Aquila di dichiarazione dello stato di gravidanza che richiede la firma del paziente), fa riflettere il saggio relativo ai servizi digitali di Elisabetta Zuanelli. Fa riflettere perché la Pubblica Amministrazione a tutti i livelli si è sforzata negli ultimi anni e specialmente nel periodo pandemico per offrire i propri servizi quanto più possibile anche in modalità remota e, appunto, digitale. Per questo sono stati adottati sistemi di autenticazione certa (CIE/CNS/SPID), certificazione dei siti, linee guida e formazione sull’accessibilità degli stessi da parte di AGID. Nonostante ciò Zuanelli mostra come le modalità di accesso restino incongruenti e farraginose, obblighino comunque l’utente a labirintiche peregrinazioni tra uffici fisici e digitali.

Quello su cui purtroppo il libro è completamente silente è l’accessibilità di leggi e comunicazioni istituzionali della Pubblica Amministrazione da parte di persone con disabilità (che hanno diritto ad essere informate con modalità adeguate dalla Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità del 2006 ratificata dall’Italia con legge n.18 del 3 marzo 2009). È vero che AGID stabilisce criteri di accessibilità dei siti della PA, ma essi riguardano solo alcuni tipi di accessibilità e sono vincolati all’uso a valle (da parte dell’utente) di dispositivi (come lettori audio delle pagine web per utenti non vedenti). Prendiamo ad esempio il sito istituzionale della Regione Emilia-Romagna. Apparentemente mostra una elevata attenzione all’accessibilità: in ogni sua pagina è possibile attivare la funzione Lettura facilitata che porta l’utente alla pagina senza grafica con il testo ingrandito e spaziato con la possibilità di autonoma sintesi vocale (a monte). Oltre a questa funzione sono disponibili anche personalizzazioni relative a: preferenze del testo, opzioni grammaticali e preferenze di lettura. Peccato che queste opzioni abbiano le etichette di selezione espresse in inglese. In realtà mi rendo conto di “sparare sulla Croce Rossa”: se ad esempio Piemonte e Lombardia hanno unicamente la disponibilità della sintesi vocale delle pagine, le Regioni Veneto, Toscana, Lazio per non parlare dei siti ministeriali (e sono solo gli esempi che ho controllato al volo) non hanno neanche quella. Ma questa disattenzione non è un caso: è l’indice dell’autoreferenzialità della Pubblica Amministrazione, della sua incapacità di espletare la funzione di comunicare a tutti i cittadini, non solo a quelli in grado di comprendere il “burocratese” (compresi spesso pure i funzionari stessi della PA). Il problema maggiore è che abbiamo di fronte una classica spirale involutiva: l’amministrazione è distante dai cittadini, i cittadini si distaccano dall’amministrazione essendo sempre meno attenti a partecipare alla vita politica (la crisi dei partiti), l’amministrazione (rispondendo ad un numero sempre più ridotto di elettori o comunque di partecipanti alla vita politica) è sempre meno preoccupata di comunicare a chi non sia all’interno del proprio circolo di sostenitori. In questo modo – come si deduce dalla lettura dell’illuminante libro The Dictator's Handbook. Why Bad Behavior is Almost Always Good Politics di Bruce Bueno de Mesquita e Alastair Smith (The Perseus Book Group, 2012) - si procede da una restrizione della democrazia verso forme sempre meno labili di dittatura. In questo libro infatti viene mostrato come la differenza tra dittature e democrazie è fondamentalmente data dall’ampiezza del gruppo di supporto della persona o delle persone al governo. Più ristretto è il gruppo di supporto più la forma di governo si delinea come dittatura, mentre più ampio è il gruppo di supporto e più la forma di governo si delinea come democrazia. L’oscurità del linguaggio legislativo e amministrativo è un modo per – o quantomeno può contribuire a – limitare e diminuire gli spazi della democrazia. Potere al popolo, in questo senso, è un obiettivo che ha più e prima a che fare col linguaggio che con i mezzi di produzione.

 


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