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T.A.Z. e immediatismo o del rendersi invisibili

T.A.Z. di Hakim Bey è un libro che ho in libreria praticamente da quando ne è uscita in Italia la prima edizione, nel 1993. All’epoca, se eri interessato alle controculture che stavano nascendo o trasferendosi sulla Rete, all’etica hacker, alle nascenti forme d’arte legate ai New Media, non potevi fare a meno di conoscere il concetto di “Temporary Autonomous Zone” teorizzato dal (misterioso, all’epoca) Hakim Bey. Le zone temporaneamente autonome erano quelle dei pirati del XVIII secolo, ma anche le comunità che si andavano formando anche nella e grazie alla Rete. Zone autonome dal potere costituito, dallo Stato e dalla Chiesa, dal controllo del sistema economico del capitalismo, ma temporanee perché non ambiscono a rivoluzionare l’esistente, un po’ perché probabilmente non ne avrebbero la forza, un po’ perché consapevoli che la rivoluzione, nel caso abbia successo non porta alla liberazione (dell’individuo) ma ad un’altra forma di potere (e non è un caso che Bey consideri gemelli capitalismo e comunismo). Le zone temporaneamente autonome sono consapevoli della propria precarietà e chi le crea e le abita deve essere pronto ad abbandonarle solo per riaprirle altrove.

In realtà tale concetto era a tal punto diffuso che, fino ad ora, non avevo mai letto il libro dall’inizio alla conclusione, tenendolo più come opera di consultazione. Al fine però di scrivere un pezzo (vedi post scriptum) per l’uscita di un nuovo libro di Hakim Bey, La vendetta di Zarathustra. Il nuovo nichilismo e altri saggi (Agenzia X), e di una nuova edizione ampliata di un suo più volte ripubblicato classico, All’ombra delle macchine malate. Immediatismo. Per una critica radicale dei media (Shake), mi è sembrato opportuno averne una conoscenza diretta e completa. In una settimana mi sono “divorato” tutti e tre i libri, rendendomi conto di come, se gli esiti della riflessione di Hakim Bey (al secolo Peter Lamborn Wilson) sono stirnerianamente individualisti, ammantati di misticismo (sufi – che ha studiato in maniera approfondita -, ma non solo), anarchici radicalmente antisistemici, la riflessione che ne sta alla base è tutt’altro che ondivaga. L’elemento che mi ha maggiormente colpito è la consonanza con l’analisi di Abdullah Ocalan relativa alla nascita della società capitalista. Per Ocalan, così come per Hakim Bey, le radici della società capitalista affondano nella transizione tra paleolitico e neolitico, là dove c’è il passaggio da un’economia legata alla raccolta e alla caccia a un’economia basata sull’agricoltura. Nessuno dei due autori suggerisce di abbandonare le conquiste tecnologiche per ritornare alla vita nelle caverne ma entrambi sottolineano come il passaggio all’agricoltura abbia reso necessario una struttura di accumulazione e conservazione delle risorse e una struttura burocratica per gestirle, conservarle, difenderle e commerciarle. Struttura burocratica la cui realizzazione coincide con la creazione delle prime città e delle organizzazioni di potere per mantenerle. Hakim Bey non segue Ocalan nell’ulteriore analisi di come questo passaggio sia avvenuto da una società orizzontale e matriarcale a una società patriarcale e organizzata verticalmente, e come esso sia stato mitologicamente giustificato da uno spodestamento della dea in favore di divinità maschili. In sostanza Hakim Bey non segue Ocalan sul tema del necessario riequilibrio di genere al fine di ristabilire modalità di società non capitalistiche. Al contrario Hakim Bey legge la questione di genere esclusivamente nell’ottica sessantottina di liberazione sessuale. Una liberazione, sottolinea, che è riuscita a tal punto che oggi la classe dominante (i WASP) sono schifati dall’attività sessuale al punto da rendere evidente la denatalità e si rifugiano piuttosto nelle asettiche relazioni virtuali. Motivo per cui Hakim Bey, dopo un iniziale interesse, all’epoca di T.A.Z., per le esperienze comunitarie in Rete, ben presto le condanna senza appello perché vede la Rete come elemento “mediatore” che allontana le persone le une dalle altre e ne prosciuga il desiderio invece di renderlo artisticamente produttivo. Ma questo non va a discapito della classe dominante perché si trasforma in una concentrazione sempre più elevata della ricchezza. Hakim Bey delinea perfettamente la distanza tra il gruppo sempre più ampio dei poveri - che sono legati come schiavi al ciclo lavora/produci/consuma/indebitati/lavora/ecc., che sono obesi perché consumano cibi artificiali e inquinano - da quello sempre più esiguo dei sempre più ricchi – che viaggiano su auto elettriche e mangiano cibo biologico - che possiedono la ricchezza slegata dal lavoro perché “finanziarizzata”, dove quindi è il denaro a produrre altro denaro.

Hakim Bey riprende Illich per sottolineare come il sistema capitalistico si riproduca tramite il sistema educativo e quello sanitario, imponendo una perenne medicalizzazione che ci fa schiavi dell’industria farmaceutica e uniforma la possibilità di apprendere ai fini del controllo sociale e della messa a disposizione al capitale. In particolare in Immediatismo condanna tutte le forme di mediazione culturale, dai libri ad Internet, che impediscono di esprimere la convivialità e un fare arte che non sia “musealizzato” ma che al contrario sia un gioco da condividere. Le tattiche (termine non usato casualmente, dato che rifugge esplicitamente dalle strategie) che propone sono quelle del terrorismo poetico, del proporre in maniera situazionista (e molto di quello che scrive l’ho ritrovato nelle azioni di Luther Blissett degli anni Novanta) azioni/immagini/oggetti/testi che destabilizzino e scuotano non col fine di “educare”, ma con quello di risvegliare creando sconcerto inaspettato. Una delle immagini che a più riprese propone in T.A.Z. è quella di un ragazzo che si masturba. E Hakim Bey è stato accusato, anche dai suoi presunti “alleati” anarchici, di pedofilia per queste posizioni e per il suo aver scritto per la North American Man/Boy Love Association non comprendendo di essere incappati nella trappola di perbenismo a loro tesa, così come quelli che l’hanno accusato di misticismo per il richiamarsi alle tradizioni religiose in maniera sincretistica, così come quelli che l’hanno accusato di individualismo per il suo rifiuto ad allinearsi a gruppi precostituiti, per quanto anarchici o antisistema.

Peter Lamborn Wilson e Hakim Bey hanno il pregio di riuscire sempre ad essere là dove non ce li aspettiamo, di scoprire le ideologie di comodo e buoniste della sinistra (quelle della destra le condanna ma ammette che almeno sono meno ipocrite) e di mostrarci “il re nudo”: noi stessi che ci illudiamo di supportare il progresso, non facendo altro che riprodurre i meccanismi della totalità che si esprime nella simulazione creata dal capitalismo. Al contrario della nostra ossessione di apparire, amplificata a dismisura dai social, che ci portano a creare avatar irreali di noi stessi, quello che ambiamo essere senza per lo più avvicinarci ad esserlo nella realtà (i cosiddetti “leoni da tastiera”), Hakim Bey ci incita a diventare invisibili, a creare società segrete, massonerie o circoli esoterici non per cambiare la società ma per incontrare l’altro senza mediazioni e con lui mettersi in gioco per giocare l’arte. Hakim Bey chiama questo “anarchismo ontologico” perché il fine è appunto quello di superare l’illusione proiettata dal capitalismo e stringere relazioni reali. Essere davvero assieme agli altri, anche solo per una cena conviviale.

E voi? Siete arrivati a leggere fino a qui? Scrivetemi un commento e prendiamo un appuntamento per andare almeno a bere una birra assieme!

POST SCRIPTUM: l'articolo sui due libri di Hakim Bey è uscito sul manifesto del 13 ottobre. Solo una precisazione: proprio all'inizio dell'articolo si parla di "Robert Lamborn Wilson": ovviamente è un refuso di cui mi prendo la responsabilità e di cui me ne scuso con il quotidiano e con lettrici e lettori. Il refuso probabilmente è dovuto alla "confusione" mentale fatta con un altro Wilson famoso della controcultura americana: Robert Anton Wilson, autore della trilogia dedicata agli Illuminati, pubblicata in Italia proprio da Shake.





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