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Il concetto di Stato: Öcalan e Gentile

 

Ho iniziato la lettura della serie di testi “Manifesto della civiltà democratica” di Abdullah Öcalan (su Öcalan ho già scritto un altro post a cui rimando per la presentazione sommaria della persona e per una presentazione - altrettanto sommaria - della proposta relativa al “confederalismo democratico”). Pur essendo già usciti tre volumi dei cinque pubblicati in originale (per Edizioni Punto Rosso) ho, per vari motivi personali, iniziato la lettura dal secondo: La civiltà capitalista. L’era degli Dèi senza maschera e dei Re nudi. Sostanzialmente nel libro Öcalan mostra come la civiltà capitalista sia una sorta di cancro che - lungi dall’essere il modello più avanzato ed imprescindibile di economia - erode e distrugge la civiltà e l’ambiente insinuandosi in tutti gli anfratti del vivere civile e corrodendolo mediante strumenti di appropriazione del potere. Ma in particolare mi ha fatto riflettere, e ne vorrei scrivere qui, la concezione öcalaniana dello “Stato” (lo scrivo maiuscolo per indicare - come lo definisce l’Enciclopedia Treccani - l’“Ente dotato di potestà territoriale, che esercita tale potestà a titolo originario, in modo stabile ed effettivo e in piena indipendenza da altri enti” ed escludere tanti altri possibili significati). Lo Stato (quanto meno nella dimensione in cui lo conosciamo oggi e che potremmo per comodità individuare col termine “Stato moderno”) è uno strumento ideato dal capitalismo per conservare i monopoli anti-economici attraverso la enucleazione del potere in un organismo centrale che potesse dominare la società attraverso un sistema di leggi creato ad uso e consumo dell’oligarchia monopolistica. Non c’è spazio qui per spiegare in dettaglio perché Öcalan consideri il capitalismo una anti-economia, basti sostanzialmente sapere che il controllo dei prezzi e l’uso del denaro svincolato dalla necessità materiale di scambio sono considerati gli strumenti per l’accumulazione non necessaria e quindi dannosa per la società. Per Öcalan lo Stato ha sempre natura fascista perché il suo scopo è esattamente quello di impedire che le persone (nel libro viene usato il termine “individui” - che a me personalmente non piace perché usato per dividere/distinguere le persone piuttosto che unirle - non so quanto corrispondente all’originale turco, perché Öcalan connota negativamente “cittadino” essendo la città - da cui deriva il termine - il primo nucleo in cui appare la stratificazione della società e la nascita delle oligarchie che la sottomettono a fini accumulativi) prendano decisioni democratiche legate alla gestione della società e in particolare relative all’economia (reale) e all’ambiente. Lo Stato per questo deve essere pervasivo di ogni aspetto della vita della persona e controllarla mediante i media, lo sport, la cultura che vengono piegati ad essere esclusivamente distrazioni dalla osservazione dell’- e riflessione sull’esistente. Proprio tale pervasività non può non ricordarmi il concetto di Stato di Giovanni Gentile. Ovviamente mentre Öcalan carica negativamente la sua visione dello Stato, Gentile ne offre una sorta di polarità positiva, ma ciò non toglie che lo Stato etico gentiliano, modello dello Stato fascista italiano, fondamentalmente ha le stesse caratteristiche. Ovvio è che Gentile non accetterebbe mai il giudizio che la cultura all’interno dello Stato etico serva consapevolmente al rimbecillimento delle persone che lo abitano. Ovvio ancor di più che per Gentile la scuola non solo non è un’opera di distrazione e diseducazione (insegna per Öcalan sempre più un “falso” utile che serve non per l’accrescimento morale e intellettuale ma esclusivamente all’inserimento nei meccanismi di accumulazione del capitale) tanto è vero che ben prima che nascesse il fascismo e che vi aderisse, Gentile è stato uno degli intellettuali italiani più attivi nel dibattito sulla “scuola laica” all’inizio del Novecento. Per certi versi quella scolastica, che fu la prima riforma attuata dal Governo fascista nel 1923 - Ministro Gentile - e che fu definita da Mussolini “la più fascista delle riforme”, fu tuttavia ben presto snaturata dal Regime in modo da adeguarla alle proprie esigenze (ricordiamo solo l’inserimento dell’istruzione religiosa a seguito dei Patti Lateranensi, che andava contro tutto quanto Gentile aveva predicato fin dall’inizio del Secolo e che poi aveva messo nella “sua” riforma). Fin dai tempi della partecipazione al dibattito sulla scuola media Gentile aveva sostenuto la centralità dell’istruzione superiore - quello che oggi è il Liceo - per formare la “classe media” in grado di essere la spina dorsale dello Stato italiano. Per questo non è inesatto dire che la scuola gentiliana mira all’“indottrinamento” degli alunni. Indottrinamento sfruttato abilmente dal Regime poi per sfornare tanti bravi balilla e brave “piccole italiane”. La questione è che Gentile va ben oltre il fascismo e quando pensa allo Stato pensa sì alla struttura di potere, ma pensa altresì che tale struttura abbia legittimità solo quando corrisponde allo stato interiore dei cittadini. E se l’interiorizzazione dello Stato è esattamente quello che vogliono i fascisti ed il motivo della condanna öcalaniana che mostra come qualsiasi Stato (non solo quello dichiaratamente fascista ma anche quello nominalmente democratico) fondamentalmente miri a questo scopo: a fare interiorizzare alle persone la sua struttura di potere in modo che non concepiscano neppure realtà o possibilità diverse, Gentile pone però la questione in modo diametralmente opposto. La sua concezione di autorità e di Stato (è stato l’oggetto della mia tesi di laurea che ho già presentato qui) rispecchia quanto accade nell’aula scolastica. All’interno dell’aula scolastica l’ordine e l’attenzione non sono per Gentile imposizioni, ma piuttosto la concreta capacità dell’insegnante di trasmettere la conoscenza, di far appassionare gli studenti alla materia che insegna. Se nella classe non c’è disciplina, spiega Gentile, non è colpa degli studenti indisciplinati quanto piuttosto del docente che non sa insegnare. Questo concetto applicato allo Stato si fa estremamente interessante perché fondamentalmente è una giustificazione alla rivoluzione. Di più: il concetto di Stato interiorizzato - in ottica gentiliana -, se portato fino alle estreme conseguenze, rende superfluo lo Stato esteriore e quindi fondamentalmente possiamo considerare la filosofia gentiliana come anarchica (o piuttosto “pan-archica”: ne ho accennato qui). La società senza Stato a cui Gentile non è arrivato ma a cui mira l’attualismo se percorso fino in fondo paradossalmente è proprio la società democratica che auspica Öcalan. Ed il problema maggiore nel suo libro (in questo almeno: come cose da fare mi riprometto la lettura anche degli altri, ed in particolare del terzo - Sociologia della libertà - a cui più volte Öcalan rimanda) è esattamente quale sia la porta di uscita dal capitalismo e dallo Stato se questi pervadono ogni aspetto della vita delle persone e della società. Per quanto “la scuola” non sia una risposta accettabile in quanto la scuola è una istituzione dello Stato che lo Stato norma e controlla, la scuola è l’unica risposta possibile. Perché è solo attraverso la scuola che può essere formata la classe non media ma democratica. Il problema (a cui non ho qui risposta) è: come creare una scuola che sia esterna al controllo statale, un sistema di educazione formale e informale che possa liberare le persone dal velo capitalista che impedisce la visione e la gestione dei problemi reali della società?


Abdullah Öcalan 



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