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L'origine simbolica del linguaggio e lo sviluppo del linguaggio simbolico: la tesi di Aleana Percivalle alla luce di Derek Bickerton

La natura ha bisogno del linguaggio e dell’intelligenza che il linguaggio ha permesso all’essere umano di sviluppare (per quanto ci possa essere ragionevolmente chi dubiti dell’intelligenza degli odiatori seriali che la comunicazione dei social network ha svelato ed allevato)? Già Alfred Wallace, noto per aver formulato, in parallelo a Dar­win, una teoria evoluzionistica “per sele­zione naturale”, ne coglieva fin dall’inizio uno dei limiti principali: l’incapacità di spiegare perché la nostra specie abbia acquisito una mente “di gran lunga più potente” rispetto alle necessità adattative. A questo problema Darwin aveva tentato di rispondere ipotizzando che quella ridondanza cognitiva fosse l’esito “dell’uso continuo di un lin­guaggio perfetto”. Come però e perché si è evoluto il linguaggio consentendo alla specie umana di dominare la realtà che la circonda attraverso simboli? È la domanda a cui cerca di rispondere Derek Bickerton in Quello di cui la natura non ha bisogno. Linguaggio, mente ed evoluzione (Adelphi, 2022). Bickerton è stato un linguista di origine inglese e professore all'Università delle Hawaii a Manoa: sulla base del suo lavoro sulle lingue creole in Guyana e Hawaii, ha proposto che le caratteristiche delle lingue creole forniscano potenti spunti sullo sviluppo del linguaggio sia da parte degli individui che come caratteristica della specie umana. Bickerton è morto nel 2018 e More than Nature Needs è l’ultima sua opera pubblicata originariamente nel 2014 e solo ora pubblicata anche in italiano. Bickerton tenta di risolvere il problema di Wallace individuando la stretta porta che la specie umana ha attraversato per accedere al linguaggio (la necessità di comunicare al proprio gruppo l’ubicazione del cibo in un ambiente altamente competitivo) a cui ha fatto seguito la ristrutturazione biologica del cervello per gestire economicamente ed efficacemente le informazioni simboliche (cosa che non hanno potuto fare api e formiche che pure hanno sviluppato strategie di comunicazione adatte allo stesso fine) creando un vero e proprio Bioprogramma Linguistico alla base dell’apprendimento di qualsiasi lingua (che si avvicina ad una versione minimalista della Grammatica Universale chomskiana). L’evidente distacco dalla comunicazione tipica dei propri progenitori c’è stato però quando il numero di simboli a disposizione del cervello umano ha permesso di fare un salto evolutivo rendendo disponibile alla specie risorse che eccedevano di gran lunga i basilari bisogni di sopravvivenza evolutiva (ancora: per quanto ci possa essere ragionevolmente chi dubiti che sia intelligenza quella che fa sì che una specie distrugga l’habitat in cui vive).

Passaggi dell’argomentazione bickertoniana mi hanno fatto riflettere sulla proposta di scrittura non lineare avanzata da Luciano Perondi in Sinsemie. Scritture nello spazio (Stampa Alternativa, 2012), che è alla base del modello di traduzione in simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa realizzato da La Bottega dei libri in simboli (modello di cui ho già scritto qui). Bickerton scrive:

[...] la ragione dell'importanza dell'ordine delle parole non sta tanto nella mancanza di canali per produrre output linguistici, ma risiede piuttosto in un requisito per l'elaborazione degli input: noi riusciamo a elaborare soltanto le informazioni che ci vengono presentate in maniera sequenziale.

[...] la produzione di proferimenti in sequenza ci costringe a dare un ordine alle parole. (p. 235)

e

Il linguaggio ha intrinsecamente e inevitabilmente una struttura gerarchica, e le sue relazioni strutturali significative sono tutte gerarchiche e verticali, e non lineari e orizzontali. Per il cervello questo non è un problema, perché esso è fatto per creare gerarchie e trasformarle in strutture lineari. Per quanto ne sappiamo, però, il cervello non è altrettanto specializzato nel ritrasformare le strutture lineari risultanti nelle loro strutture gerarchiche d'origine. Questo si può fare ma ha un costo, sia in termini di computazione sia in termini di rischio di erronea interpretazione. (p. 243-244)

[evidenziazioni mie]

Il primo passaggio - che deriva dall'analisi del linguaggio da un punto di vista dell'evoluzione dello stesso - sembra la più radicale delle confutazioni possibili alla teoria sinsemica di Perondi sulla originarietà della disposizione spaziale (e non sequenziale) delle informazioni nella comunicazione. Bickerton mostra come il linguaggio abbia un’origine necessariamente sequenziale che si riflette nella natura stessa del Bioprogramma Linguistico alla base di tutte le lingue concretamente esistenti. Nel secondo passaggio la radicalità della confutazione è temperata: se il linguaggio così come è materialmente espresso, soprattutto a livello orale, non può che essere bidimensionale, la “struttura” del linguaggio stesso è verticale. Possiamo arrivare alla stessa conclusione considerando che, se il linguaggio è lineare, non lo è ad esempio il modo in cui guardiamo: i nostri occhi, nel guardare il mondo, non procedono linearmente ma piuttosto fanno una sorta di scansione randomizzata dell'arco visivo. Questa ulteriore citazione da Bickerton precisa meglio il campo d'indagine: tra il suo approccio evoluzionistico al linguaggio e l'approccio sinsemico perondiano non c'è contrapposizione ma piuttosto distinzione. Il linguaggio è lineare e orizzontale, la conoscenza verticale e gerarchica. Per questo sono così efficaci le mappe ed in particolare le mappe concettuali: perché forniscono la conoscenza in forma già gerarchica e verticale e il cervello di chi studia non deve compiere lo sforzo di tradurre le informazioni presentate in forma lineare dai manuali tradizionali nella forma utilizzata per gestire la conoscenza. Ma d'altra parte trasformare in una sorta di mappa concettuale (attraverso la grammatica valenziale) quello che è intimamente legato al linguaggio come la narrazione, mi sembra altrettanto bene evidenziato come problema. La narrazione discende dall'oralità omerica e la letteratura odierna non si distacca significativamente da questa matrice. Per questo narrare sinsemicamente ha senso solo in quei media che strutturalmente prevedono una presentazione spaziale, come i fumetti. È curioso come nello studio di Perondi siano assenti quei media che, più compiutamente, nella contemporaneità sviluppano il modello sinsemico: il fumetto, appunto, che è quello più precisamente narrativo; il gioco da tavolo (la presentazione delle informazioni sul tabellone); il videogioco (attraverso la grammatica dell'interfaccia).

Possiamo mettere praticamente alla prova le riflessioni esaminando il primo testo realizzato col nuovo sistema simbolico, PASS, sviluppato appositamente per la traduzione di testi seguendo la logica sinsemica alla base del modello de La Bottega dei libri in simboli: Il pinguino e la bambina (adattato e tradotto dal racconto di Oliver Jeffers) da Aleana Percivalle all’interno del lavoro di ricerca per la tesi di laurea Libri in simboli per il design inclusivo. Creazione di simboli per la CAA e la sperimentazione della loro disposizione nello spazio (Corso di laurea magistrale in: Design del prodotto e della comunicazione dello IUAV di Venezia, 2022) con Perondi come relatore (colgo l’occasione di ringraziare Aleana Percivalle per avermi inviato copia del suo lavoro, di cui è possibile vedere un’anteprima sul suo sito). De Il pinguino e la bambina ne sono state realizzate due versioni: entrambe utilizzano il sistema simbolico PASS, ma in uno il testo viene disposto spazialmente utilizzando i principi della grammatica valenziale secondo i diagrammi di Sabatini mentre nel secondo viene utilizzato il seguente criterio:

Il prototipo B possiede le medesime illustrazioni del prototipo A, con la differenza che esse sono state riadattate con lo scopo di rientrare solo nella pagina di sinistra, distaccandosi completamente dai simboli che invece si trovano nella pagina di destra.

I simboli presentano inoltre la medesima riquadratura, non differenziando i diversi elementi della struttura della frase.

Normalmente questo è il modo in cui vengono costruiti i libri in CAA al giorno d’oggi, l’illustrazione si trova solitamente su una pagina e il testo in simboli nell’altra, oppure l’immagine occupa la parte superiore della doppia pagina e il testo quella inferiore, mantenendo in ogni caso una struttura lineare dei simboli che viene completamente distaccata dall’immagine, trattate come se fossero due

strutture a se stanti. (p. 110) [Quest’ultima affermazione sconta però, purtroppo, una non completa conoscenza dei libri in simboli, quanto meno di quelli realizzati con il modello inbook, che richiede esplicitamente di mantenere il rapporto tra testo ed immagine del libro originale come mostrato nelle slide (slide 12) che illustrano il modello inbook sul sito del Centro Studi Inbook. La suddivisione quindi tra versione PASS con simboli all’interno dell’illustrazione e versioni altre con simboli dislocati in pagine diverse e separate da quello con l’illustrazione, non rappresenta necessariamente la realtà. Per esempi è possibile vedere l’anteprima di diversi titoli realizzati col modello inbook qui, in particolare: La città che dorme, La guerra di Nina, Il Signor Balena ha il raffreddore, Orlando e il pinguino, E se il cielo non piovesse, ecc.].

I due testi sono poi stati sottoposti a due gruppi composti ciascuno da tre bambini tra i 7 ed i 9 anni con disturbi dello spettro autistico e carenze di competenze nella letto-scrittura. I limiti di questo test sono stati sottolineati dalla stessa Percivalle nella conclusione:

[...] i punteggi del questionario non hanno riportato dei risultati che possano rispondere alla domanda di ricerca [...] dal momento che i dati non evidenziano una distinzione evidente tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo. Questo è dovuto a diverse cause; [...] il fatto che c’è stata una sottostima dei soggetti selezionati dal momento che la letteratura svolta sul target scelto è molto povera e non ha permesso di identificare un metodo efficace per poterlo selezionare. (p. 153)

Nonostante al reclutamento del campione per la presente ricerca abbiano partecipato diversi professionisti (tra cui linguisti, logopedisti, educatori e ricercatori) che lavorano quotidianamente a contatto con bambini e ragazzi autistici, nessuno è stato in grado di prevedere la complessità ottimale dei prototipi. (p. 154) [Nota: da bibliotecario che lavora da oltre trent’anni sulla e con la lettura per bambini e ragazzi sono stupefatto da questa difficoltà: per linguaggio, sintassi e argomento - anche considerando che si tratta di un testo in CAA - non catalogherei mai Il pinguino e la bambina per una fascia d’età superiore a 5 anni e lo utilizzerei al massimo con bambini con difficoltà dell’apprendimento della letto-scrittura nel primo anno della scuola primaria. Uno dei paradigmi della formazione sulla CAA del Centro Sovrazonale di Milano e Verdello è che la competenza linguistica non è collegata alla competenza emotiva e offrire testi inadeguati, magari non per competenza linguistica ma per competenza emotiva, provoca reazioni di rigetto che non dipendono da chi legge o dal testo letto ma dalla scelta del testo effettuata: vedi ad esempio la espressiva vignetta alla slide 52 del corso su Come leggere e scegliere gli inbook, a cura dello staff del CSCA e disponibile nella pagina dei materiali dei corsi del CSCA.]

Il lavoro esposto all’interno di Libri in simboli per il design inclusivo mi sembra avere elementi problematici ma anche elementi estremamente interessanti e promettenti per l’evoluzione della realizzazione dei libri in simboli. Per la relativa discussione riporto le prime tre pagine della versione A de Il pinguino e la bambina:

La disposizione del testo realizzata mediante l’utilizzo dei diagrammi di Sabatini per la grammatica valenziale funziona - seguendo i risultati del test - alla pari del testo allineato tradizionalmente forse perché abbiamo di fronte un testo di lunghezza e complessità adeguata a bambini di circa 3 anni. Se si fosse dovuto impaginare con lo stesso criterio, ad esempio Storia di un coronavirus realizzato da Francesca Dall’Ara nel 2020 e che Erickson ha reso disponibile gratuitamente per dare un aiuto ai genitori coi figli la cui routine era stata terremotata dal lockdown, sarebbe stato necessario un volume di pagine paragonabile forse ad un testo universitario se non enciclopedico. D’altra parte, seguendo le osservazioni ricavate dalla lettura di Bickerton, la disposizione verticale e gerarchica ha senso laddove occorre trasmettere in modo efficace delle informazioni (mappa concettuale) piuttosto che là dove si vuole narrare una storia. La disposizione valenziale sembra allora andare più nell’ottica della didattica dell’apprendimento della letto-scrittura che non in quella del “piacere di leggere”.

Del modello poi di traduzione dei Libri Per Tutti, legato alla Bottega dei libri in simboli, si è già scritto qui, all’epoca delle prime uscite delle pubblicazioni editoriali da loro curate, e più di recente, nel commento già richiamato, successivamente alla presentazione di La Bottega dei libri in simboli. Un approccio logico-semantico alla traduzione (Fondazione Paideia, 2022) che esplicita le modalità operative per la creazione di libri in simboli secondo il modello Libri Per Tutti. Dalla lettura del libro di Bickerton è possibile ricavare una utile indicazione anche a questo proposito. Ho già rilevato infatti come, mentre il modello Inbook abbia come finalità di essere il più trasparente possibile rispetto all’etichettatura alfabetica inserendo modificatori ai pittogrammi che esprimano il genere ed il numero dei termini, valorizzando elementi “astratti” della lingua (soprattutto italiana) come articoli e pronomi, all’interno del modello Libri Per Tutti si privilegia un approccio “logico-semantico” (“Logico” perché supera la dimensione puramente grammaticale, così che il traduttore non simbolizza il testo parola per parola. La traduzione in simboli si colloca a un livello di  interfaccia  fra  la  sintassi  e  la  semantica,  prendendo  in  considerazione  la  parola,  ma  al  tempo  stesso  la  sua  posizione  nella  frase,  intesa  come  una  «struttura,  cioè  come  un  insieme  organizzato  al  cui  interno  le  parole  sono  organizzate  grazie  a  rapporti  di  dipendenza reciproca». “Semantico”, nel senso che la rappresentazione di una parola nel simbolo risulta essere una facilitazione nell’acquisizione del suo significato. Un libro in simboli offre la scena in cui vivere una straordinaria esperienza di significati. L’iconicità  determina  il  peso  semantico  di  un  simbolo  e  deve  essere  caratteristica  discriminante nella selezione: più è rappresentativo della realtà più ha peso semantico, favorendo la comprensione della parola. [da La Bottega dei libri in simboli, p. 13]). Si tratta dunque di una scelta concettuale, per certi versi di filosofia pedagogico-linguistica? Peccato però che Bickerton ci ricordi come una delle maggiori difficoltà in chi sta apprendendo una lingua - che sia la lingua madre o una lingua straniera - è effettuare la segmentazione nelle unità discrete costituite dalle parole annegate nel flusso continuo della lingua parlata. Mentre di fronte al testo scritto ci sono codici di comprensione pressoché immediata (gli spazi e la punteggiatura), questo non avviene nella lingua parlata a cui è esposto il bambino nelle prime fasi della sua esistenza e il soggetto con bisogni comunicativi complessi che non ha la possibilità di un confronto agevole ed immediato col testo scritto. Per questo, soprattutto nell’ottica di favorire l’apprendimento della lingua, sembra soluzione non ottimale accorpare aggettivi/articoli/ausiliari alle parole a cui si riferiscono.

Gli elementi di estremo interesse sono invece il design dei simboli (comprensivo di scelta del font) e la riquadratura variabile per dimensione del riquadro e per continuità del tratto. 

I simboli utilizzati sono stati completamente ridisegnati avendo cura di seguire principi di bidimensionalità (non ci sono figure inquadrate prospetticamente), di coerenza e uniformità spaziale garantite da una griglia al cui interno i simboli sono stati disegnati, di coerenza semantica (ricavata dai principi ispiratori di Bliss) garantita dalla “componibilità” dei simboli, dall’economia del numero di tratti utilizzati per il disegno dei simboli (evitando simboli troppo “disegnati” e di conseguente difficile interpretazione), di uniformità cromatica (limitando l’uso del colore ai simboli legati ai personaggi delle storie - cosa questa in realtà già utilizzata da praticamente tutti quanti realizzano libri in simboli). Oculata la scelta del font per l’etichetta alfabetica. A questo proposito Percivalle spiega:

La font selezionata per i simboli in CAA è il Centrale Sans Medium, un carattere tipografico della fonderia unghera Typedot di Alexander Nedelev e Veronika Slavova.

Centrale Sans è un carattere tipografico sans serif moderno. Spinto dalla sua natura geometrica, ma distinto da una moltitudine di caratteristiche umanistiche, rimane versatile grazie e adatto a testi di piccola dimensione. Sebbene sia radicato nella tradizione umanista, si basa anche sull'eredità di caratteri tipografici grotteschi costruiti in modo più razionale come Akzidenz Grotesk. Il bilanciamento di contrasti e contorni permette inoltre un’alta leggibilità, rendendolo adatto ad essere fruito da bambini con BCC. (p. 84)

Per quanto riguarda i tratti dei riquadri (che a loro volta hanno spigoli smussati per ricordare l’estetica dei “balloon”) sono possibili tre tipologie che richiamano la valenza all’interno della frase del simbolo racchiuso:

  1. linea continua: parole appartenenti al nucleo;

  2. linea tratteggiata: parole della zona circostante;

  3. linea punteggiata: parole dell’espansione.

Inoltre c’è una differenza tra la grandezza dei simboli delle parole rappresentanti oggetti e azioni e quella dei simboli racchiudenti elementi lessicali astratti come congiunzioni e preposizioni che identifica visivamente in maniera immediata le due macro-classi.

Per quanto questi elementi grafici dei riquadri richiedano ulteriori sperimentazioni e studi e anche al netto della critica alla disposizione spaziale a cui fanno riferimento, sembrano elementi estremamente interessanti, frutto di una riflessione non casuale e meritevole di estrema attenzione. Da questo punto di vista non appare giustificato l’abbandono della differenziazione della riquadratura nella versione B di Il pinguino e la bambina: anche senza la disposizione spaziale (che, come si è ribadito, non è un’opzione percorribile per testi più lunghi e complessi, anche ammettendone la validità) possono essere marcature che sottolineano la gerarchia delle parole all’interno della frase e quindi servire ad orientare, seppure in modo virtuale e dislocato, la comprensione generale del testo presentato. La speranza personale è che sia possibile avviare un confronto fra modelli per economizzare l’enorme lavoro da fare per creare una lingua simbolica, completa di strumenti adeguati, veramente adatta alla realizzazioni di libri in simboli inclusivi e adatti a tutti.

Riflessione conclusiva. Il linguaggio nasce come strumento per gestire la comunicazione utilizzando simboli (ci spiega Bickerton): i simboli sono segnali/segnaposto per oggetti e azioni non immediatamente presenti a chi parla e a chi ascolta. I simboli possono essere raggruppati in categorie (la categoria “cane” comprende tanto il dalmata che il pastore tedesco, ecc.) e tramite le categorie possiamo innescare catene di pensiero su argomenti astratti (la filosofia). Se il linguaggio nasce per gestire i simboli, non sembrerebbe dal punto linguistico un problema l’utilizzo comune di un linguaggio simbolico. Il problema forse è un altro. Il problema è che i cosiddetti linguaggi simbolici, oggi, non sono davvero linguaggi ma si limitano ad essere strumenti terapeutici tenuti artificialmente in vita da chi li applica ad una platea estremamente limitata. La differenza è analoga a quella che c’è tra un alimento ed una medicina. L’alimento è di utilizzo generalizzato ed entra nella dieta solo se le sue caratteristiche sia a livello di nutrizione sia a livello di gusto soddisfano un’ampia platea di persone. La medicina al contrario non deve rispettare tali caratteristiche perché ha l’unico scopo di essere proposta ad una platea circoscritta esclusivamente per risolvere problemi specifici. Attualmente i cosiddetti linguaggi simbolici, anche quelli brandizzati “inbook” o “Libri Per Tutti” non sono che medicine linguistiche rivolte ad un pubblico di “malati” (le persone con bisogni comunicativi complessi) e nei fatti vengono tenute artificialmente in vita principalmente per rispondere ad esigenze di intervento terapeutico-logopedistico. Per diventare invece veri e propri linguaggi devono essere utilizzate da una vasta platea di esseri umani che utilizza questi linguaggi simbolici in modo spontaneo e continuo. E lo fa perché per essa si tratta di uno strumento efficiente ed economico. In particolare vorrei chiudere proprio su quest’ultimo termine: “economico”. Ora io non so come quale “tool” abbia utilizzato Aleana Percivalle per assemblare i simboli del doppio libro in simboli PASS da lei realizzato, ma so relativamente bene utilizzare gli strumenti (Symwriter per Widgit e SimCAA per Arasaac) per comporre testi in simboli ed eventualmente trasformarli poi in libri e mi rendo conto che non sono strumenti che utilizzerei quotidianamente (se non vi fossi costretto). Il linguaggio simbolico, per diventare davvero linguaggio, deve avere a disposizione “tool” che consentano di scrivere un testo normalmente e facilmente come adesso sto scrivendo questo testo su Documenti di Google o su qualsiasi altro word processor. Se devo utilizzare un surplus di energie per scrivere su Symwriter piuttosto che su Documenti preferirò Documenti (a meno che non debba scrivere il testo-medicina). Per questo, al di là delle discussioni (innegabilmente anche appassionanti) sui vari linguaggi e modelli, il modello che prevarrà non sarà quello con migliore pedigree scientifico o linguistico, ma piuttosto quello che avrà a disposizione uno strumento che ne permetterà l’utilizzo diffuso e quotidiano da parte di tutti, quello che non solo sarà letto da “tutti” ma quello che sarà da “tutti” scritto.


Derek Bikerton



Commenti

  1. grazie Francesco per questa riflessione e per la generosità con cui la condividi, non solo qui con i lettori del tuo blog, ma anche con il forum traduttori inbook.

    Il commento che fai sulla insostenibilità della rappresentazione sinsemica appena ci si spostasse su contenuti più articolati è il pensiero che ho fatto anch'io appena visto il prototipo di Percivalle.
    Sulla rappresentazione secondo mappe concettuali, o con dispositivi che ne riprendono l'approccio verticale, come tu illustri nel tuo articolo, ci siamo confrontati proprio in occasione dello sviluppo di testi didattici, nel 2018, poi non pubblicati per la nota comunicazione di Auxilia del dicembre di quell'anno.
    Ci eravamo chiesti rispetto al testo di storia facile di Erickson se riportare oppure no le mappe concettuali presenti. Ed eventualmente come rappresentarle.
    La scelta era stata quella di non riprodurre le mappe concettuali.
    Il motivo è stato fondamentalmente quello della natura personale della rappresentazione concettuale della conoscenza. Quindi la mappa è uno strumento buono se costruita dalla persona o comunque con la persona. Mentre la messa a disposizione della mappa propone una forma bignamizzata del tema, impoverendolo di tutta quella serie di dettagli che permettono ai diversi stili cognitivi di agganciarsi e di farlo proprio.
    Un libro per mappe concettuali, estremizzo, lo so, le rappresentazioni di Percivalle non sono questo strettamente, oltre l'impraticabilità della realizzazione come detto per testi anche minimamente complessi, soffrirebbe di questo impoverimento.

    Mi sembra molto interessante il tema della linearità orale che proponi dagli studi di Bickerton.
    E il tema della segmentazione di difficile riconoscimento come argomento a favore della rappresentazione anche di funtori e aspetti morfologici della lingua.

    Non mi trovo invece d'accordo sull'ultima parte dove affronti il binomio cibo - medicina.
    Ciò che stiamo insieme da anni proponendo con gli inbook è proprio il superamento del costrutto medicina per andare verso quello del cibo, per tutti.
    E la complessità di preparazione di un particolare cibo non è ciò che lo definisce come per tutti o solo per particolari nicchie.
    La differenza è dove trovo le due categorie. Nel negozio di alimentari o in farmacia.
    L'operazione non solo degli inbook, ma anche proposta da Uovonero e da Paideia, vanno nella direzione di proposta non terapeutica, ma per tutti.
    Certo lo strumento con cui poter scrivere questi libri, e anche gli altri contenuti in simboli, fa differenza.
    È quello che più ha ostacolato la diffusione del Bliss.
    Importante quindi poter avere a disposizione strumenti il più possibile standard che comprendano anche la gestione simbolica. Un tentativo in questo senso era stato fatto con openoffice con un'estensione CCF (Concept Coding Framework) symbolwriter, su cui si può trovare anche una certa quantità di letteratura, ma che non ha avuto grande successo in termini di adozione. (http://www.conceptcoding.org)
    In ogni caso la tua osservazione sulla necessità di diffusione del linguaggio simbolico, molto più di quanto fino ad ora siamo riusciti a proporre, credo sia effettivamente cruciale. Per portarlo negli spazi pubblici, nella pubblicità, sulle confezioni delle uova, in ospedale, nella comunicazione politica, in campagna elettorale, nei musei.
    Uno degli obiettivi che ci diamo.
    un caro saluto a tutti,
    Antonio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per la lettura attenta e per il commento.

      Più che non essere d'accordo mi sembra che vediamo la medesima situazione da due prospettive diverse: la tua è quella del bicchiere mezzo pieno (probabilmente avendo consapevolezza del lungo percorso compiuto), la mia quella del bicchiere mezzo vuoto.

      In particolare la conclusione, che è la parte su cui ti sei maggiormente soffermato, è un'aggiunta quasi all'ultimo minuto. Rileggendo il testo per pubblicarlo nel blog ho ripensato ad un video di Mitch Resnick (uno di quelli che al MIT hanno progettato Scratch, un programma per insegnare il coding a bambine e bambini) dove contesta il concetto di "nativi digitali" sostenendo che per conoscere una lingua occorre non solo saperla leggere (come fanno i cosiddetti nativi digitali perennemente immersi in smartphone e videogiochi) ma anche saperla scrivere. Il video è qui: https://www.ted.com/talks/mitch_resnick_let_s_teach_kids_to_code?language=it&subtitle=it

      Grazie anche per la segnalazione del progetto di cui non ero a conoscenza.

      Elimina

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