Passa ai contenuti principali

Mimmo Franzinelli e il fascismo gentiliano


È disponibile da neppure un paio di settimane il nuovo libro del noto storico Mimmo Franzinelli su: Il filosofo in camicia nera: Giovanni Gentile e gli intellettuali di Mussolini (Mondadori, 2021). In questo ampio e scorrevole volume l’autore utilizza in particolare il carteggio di Gentile con Mussolini per illuminare meglio la parabola politica gentiliana all’interno del fascismo. In particolare nella premessa Franzinelli specifica che:

La prospettiva qui adottata non legge l’azione di Giovanni Gentile riscrivendone retroattivamente la biografia alla luce della morte violenta, e nemmeno intende offrire ulteriori argomenti per giustificarne l’eliminazione. Mostra in concreto in che modo, sotto la legittimazione filosofica dell’attualismo e del neohegelismo, egli si sia sentito autorizzato ad assecondare e sostenere l’impiego politico e discrezionale della violenza. Dal delitto Matteotti alla svolta dittatoriale del 3 gennaio 1925, dall’esaltazione dell’invasione dell’Abissinia sino al supporto alla RSI, Gentile ebbe buon gioco, finché gli riuscì di spacciare per lealtà e coerenza di principi quello che risulta fondato su scelte di campo dettate da ragioni opposte a quanto dichiarato. [p. 11, le pagine del libro si riferiscono all’edizione elettronica su Kindle; evidenziazione mia]

La narrazione di Franzinelli prende inizio con l’ingresso di Gentile nel primo Governo Mussolini in qualità di Ministro dell’Istruzione nel 1923 e si conclude con l’uccisione del filosofo il 15 aprile 1944. Effettivamente, grazie anche all’aggiunta delle informazioni prese dal carteggio col Duce, riesce a mettere egregiamente in luce come in tutta la parabola all’interno del fascismo il comportamento gentiliano fosse improntato da una parte a familismo e nepotismo, dall’altra all’accumulo di cariche che gli consentissero consistenti ritorni economici. Franzinelli, nel suo sottolineare le piccolezze e le bassezze pragmatiche di Gentile, che si rifiuta in alcuni casi di aiutare colleghi, ottiene alla fine esattamente il risultato opposto: pur avendo l’obiettivo opposto, il suo libro sembra andare a braccetto con la biografia di Sergio Romano (Giovanni Gentile: la filosofia al potere Bompiani, 1984), tutta improntata a dipingere le scelte gentiliane come fedeltà estrema ai propri ideali. Lo fa perché a fronte di qualche rifiuto d’aiuto motivato sempre da motivazioni personali, Franzinelli è “costretto” a documentare l’appoggio del filosofo a persone ed intellettuali anche molto lontani dal regime fascista (come ad esempio il fiorenzuolano Aldo Braibanti, all’epoca della guerra civile studente alla Normale di Pisa e comunista preso di mira dalla Banda Carità) o di origine ebrea ma comunque portati nella redazione dell’Enciclopedia Italiana per le rispettive competenze piuttosto che per la fedeltà al regime o per l’origine etnica.

Il testo di Franzinelli sconta - pur nella completezza e nella piacevolezza della lettura - due scelte che non aiutano a completare il quadro storico su Giovanni Gentile ed anzi lasciano spazi d’ombra sulla sua vicenda.

La prima scelta è il privilegiare di Franzinelli l’ordine tematico su quello storico. Questa scelta fa sembrare che l’influenza di Gentile sul fascismo continui imperterrita per tutto il trentennio. Al contrario, come già esposto in maniera estremamente documentata da Alessandra Tarquini (in Il Gentile dei fascisti: gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Il Mulino, 2009), il ruolo di Gentile ha un peso significativo non oltre la fine degli anni ‘20. In particolare a dare la significativa picconata al peso del filosofo all’interno del Partito Fascista e del quadro politico nazionale sono i Patti Lateranensi. Con i Patti uno degli elementi cardine della sua Riforma della scuola viene completamente distrutto: la laicità della scuola, che fa da premessa alla laicità dello Stato. Nonostante il cumulo di incarichi (che certamente gli portano prestigio accademico e lauti compensi) Gentile, al contrario di quanto lascia intendere Franzinelli, non riesce in seguito più ad avere voce politica significativa e la cosa è ancor più dimostrata dalla necessità di fare tutto un lavoro di relazioni personali, sia sul Duce sia su gerarchi a lui non troppo distanti, per ottenere quel che desidera (e l’ottenerlo spesso è dovuto più al desiderio del regime di tenersi buono il maggiore intellettuale di riferimento, che non per intima consonanza d’obiettivi).

La seconda scelta è il decidere di iniziare ex abrupto dall’ingresso di Gentile nel Governo Mussolini, senza introdurre e motivare tale scelta da oltre un ventennio di lotte professionali e politiche che Gentile (assieme a Croce) ha combattuto nel contesto professionale dell’insegnamento all’interno del dibattito sulla “scuola laica”. Tale assunzione della figura ministeriale arriva caldeggiata da tutte le figure intellettuali che in questo ventennio sono state vicine a Gentile in questa disputa, Croce in primis. La critica alla e la distanza dalla Riforma avvenuta in seguito non sono da leggere pertanto (come pure fa Franzinelli) in un’ottica pedagogica quanto strumentale lotta politica dal filosofo che aveva deciso di sostenere in maniera piena e convinta il fascismo (anche per continuare a sostenere e difendere la Riforma). Da questo punto di vista non mi sembra particolarmente invecchiata la conclusione che apposi alla mia tesi di laurea su Autorità e libertà nel pensiero pedagogico-politico di Giovanni Gentile (1900-1923) (Università degli Studi di Parma, Anno Accademico 1987/1988, pur non essendo pubblicata è disponibile grazie al servizio di prestito interbibliotecario del Servizio Bibliotecario Nazionale: http://id.sbn.it/bid/PIA0000146). In essa, uscendo dai limiti temporali (autoimposti dalla considerazione che Gentile, considerando la Riforma l’attualizzazione maggiormente compiuta della sua riflessione pedagogica, di fatto non produrrà altri testi di pedagogia - se non testi occasionali e di circostanza) ho cercato di mostrare gli “errori” di Gentile, ovvero la distanza tra l’attualismo e l’attualizzazione gentiliana dell’attualismo nella pratica politica. La riporto qui sotto con qualche minima correzione ed aggiornamento e le note e i riferimenti bibliografici tra parentesi quadre e con eventuali commenti tra parentesi graffe:

- - -


  1. La riforma della scuola

Gentile, unificando pedagogia e politica, sia alla fine giunto al risultato che, da un lato, l’opera politica sta nell’elevazione culturale del popolo, cioè nella vera e propria attività educativa; dall’altra parte, dato che la scienza non è “laica” nel senso astratto, puramente anti-religioso del termine, ma anzi, essa si realizza solo nell’orizzonte nazionale, compito concreto della scuola e dell’educazione è di formare i cittadini dello Stato, di formare gli italiani. Come si vede, a nostro avviso, si può qui parlare di un vero “circolo” di pedagogia e politica. In questo senso il culmine dell’attività - politica in quanto pedagogica e pedagogica in quanto politica - gentiliana, è sicuramente la sua riforma della scuola.

Non è opportuno esporne in dettaglio i particolari, soprattutto in quanto la nostra ricerca verteva su un altro argomento. Tuttavia è a nostro parere utile, prima di una conclusione vera e propria, dire qualche parola chiarificatrice intorno ad essa. Lasceremo qui dunque la parola ad Ugo Spirito che, in maniera esemplarmente sintetica e a nostro parere particolarmente efficace e tutt’ora attuale, sa delineare un quadro preciso di quest’opera gentiliana, pronunciandone, nello stesso tempo, l’epitaffio:

(La riforma) (...) si fondava (...) su un triplice assunto: sfollamento della scuola media, incremento della scuola privata, miglioramento delle condizioni economiche; ma le tre cose erano così intrinsecamente coordinate, da non potersi concepire e tanto meno realizzare l’una senza l’altra. Soltanto, infatti, con lo sfollamento della scuola media di Stato, si sarebbe potuto ottenere uno sviluppo non effimero della scuola privata e la si sarebbe potuta portare sul piano di una concorrenza benefica con la pubblica. E soltanto con la riduzione delle scuole e delle classi si sarebbero compiute le economie sufficienti per migliorare le condizioni degli istituti e degli insegnanti. Se quest’ultimo risultato non era stato raggiunto nel 1924 e il Gentile stesso doveva decisamente convenirne, era segno che anche le altre due parti del programma non avevano avuto una sufficiente attuazione. Sta di fatto che il Gentile trovò resistenze insormontabili nel suo programma di riduzione delle scuole medie e universitarie, e che anche i primi mediocri risultati furono ben presto circoscritti e poi deliberatamente contraddetti da provvedimenti ispirati da altri principi. Se dopo quindici anni dalla riforma ci volgiamo a considerare la scuola da questo punto di vista dobbiamo riconoscere che si è proceduto in direzione precisamente opposta a quella auspicata per tanti anni dal Gentile e che non mai come oggi la scuola media ha rigurgitato di una folla incontenibile, l’universitaria si è arricchita di istituti e di facoltà, la privata - eccezion fatta per la confessionale - ha fabbricato tanti spostati. La conclusione è che, se giusta era stata la diagnosi dei guai della scuola e della loro ragione fondamentale, quei guai debbono essere oggi proporzionalmente - e forse in proporzione geometrica - accresciuti, sì da richiedere un quadro a tinte ben più fosche di quelle già tanto fosche usate dal Gentile. In ogni caso, comunque voglia valutarsi quella diagnosi e quel programma di riforma, una cosa mi par certa e assolutamente incontrovertibile, ed è che la riforma Gentile, limitata in modo decisivo fin da principio, non ha, nel suo assunto fondamentale, alcun rapporto con la scuola di oggi. (Essa è) una riforma che non esiste. [Ugo Spirito La riforma Gentile della scuola saggio scritto nel 1938, ma all’epoca non pubblicato, si trova nei seguenti testi di Spirito: La riforma della scuola Sansoni, 1956; e Giovanni Gentile Sansoni, 1969. Citiamo da quest’ultima edizione, pp. 141-143].

Tutto ciò {...} non può non indurci a pensare che anche il pensiero politico di Gentile si sia alla fine risolto - per usare la sua terminologia - in una teoria astratta.


  1. Autorità e potere

Vorremmo poi, a conclusione di questa ricerca, esporre alcune nostre idee ispirate alla lettura del libro di Dario Faucci {Dario Faucci La filosofia politica di Croce e di Gentile La Nuova Italia, 1974} e dalla conversazione avuta con lui circa l’applicazione politica concreta fatta da Gentile, della propria risoluzione dell’antitesi tra autorità e libertà, e delle relative conseguenze. In particolare, dopo aver visto che la filosofia politica di Gentile si configura come una radicale “filosofia della libertà” (seppur non dell’individuo empirico, ma dello spirito), ci siamo chiesti come abbia egli fatto a confonderla con un regime anti-liberale per eccellenza per il fascismo {ed alle risposte che qui diamo si può aggiungere anche quella che esplicita Franzinelli: per convenienza. Anche se occorre subito aggiungere, la convenienza da sola non basta a spiegare la fedeltà ad esso fino alle estreme conseguenze perché tanti altri, fascisti almeno quanto lui, per altrettanta convenienza più che per intima convinzione, scelsero ad un certo punto di sganciarsi dal regime ed addirittura di schierarsi dalla parte opposta}. E ciò non tanto all’inizio, quando esso era sostenuto pure da altri intellettuali che poi si sono schierati decisamente contro di esso [Come non ricordare, in primo luogo, Benedetto Croce?]. Infatti all’inizio esso poteva rappresentare l’ordine nel disordine postbellico, poteva rappresentare un argine contro le forze che vedevano nella rivoluzione una possibilità concreta, etc., ma non lo poteva certo nelle sue fasi finali.

Per far questo occorre che qui riportiamo alcune frasi, secondo noi cruciali, del volume di Faucci:

Ma bisogna anche pensare che tutta una tradizione “politica”, da Platone a Rousseau a Marx, quale che sia la dose di realismo che vi inerisce, è informata all’idea di una società veramente libera autonoma umana. Gentile non è che una voce di questo grande coro. E poiché, concettualmente, per gli uomini ‘liberi’ il problema politico così inteso non sussiste, l’accordo fra tali uomini, per la costituzione del potere, non è oggetto di questa filosofia politica (la quale tende, al limite, proprio alla eliminazione del potere, sostituito dalla ragione, dalla solidarietà e così via). [Dario Faucci op.cit. p. 121]

Per quanto possa sembrare paradossale, tenendo conto degli eventi storici in cui è intruso, l’attualismo nella prassi politica non può coerentemente portare che ad un atteggiamento fondato sulla convinzione che la istituzione, quale che essa sia, è il dato, il limite, il negativo da superare essendo positivo soltanto lo spirito che è di per sé progrediente e rinnovatore. L’attualismo in questo senso può fondare solo un atteggiamento progressista, rivoluzionario. [p. 125 {evidenziazione mia}]

Gentile affermava che tra governo e reggitore non c’è differenza alcuna, che tutti, in quanto uomini, vivono nella tensione di superare sé medesimi in cui consiste la vita morale, cioè lo Stato. Ma questa eguaglianza nell’eguale autonomia, in realtà, se teorizzata coerentemente, porterebbe a riconoscere l’inutilità dello Stato come istituto ordinatore. [p. 288]

A questo proposito vorremmo qui dunque cercare di delineare alcune ipotesi sul perché si sia verificata questa discrepanza tra le premesse teoriche di Gentile, e le sue applicazioni politiche.

A nostro avviso, Gentile, legando la propria filosofia al regime fascista ha commesso due errori, o meglio: si è in due punti contraddetto con la propria teorizzazione, o con un corretto sviluppo di essa. Il primo “errore” lo potremmo dire “pratico”, e diventa estremamente evidente quando Gentile da il suo appoggio a Mussolini anche nella fase estrema della Repubblica di Salò {senza dimenticare - si aggiunge leggendo Franzinelli - dell’ansia per il figlio Federico, internato in un campo di prigionia dai tedeschi senza la possibilità, per tutta la durata della guerra civile, di contatti col padre o col resto della famiglia e liberato solo dopo l’uccisione del filosofo, quando non poteva più fungere da strumento di ricatto?}. Se è giusto inoltre affermare , come abbiamo visto, nel corso della ricerca, fare da Gentile stesso, che la sua teoria presuppone l’identificazione di pedagogia e politica, questa ulteriore adesione ad un regime che aveva portato ad un’Italia divisa e lacerata da una terribile guerra civile, è una palese contraddizione con quanto egli afferma nel secondo volume del Sommario a p. 47: “...la disciplina non è la condizione della scuola, come si disse a principio, e come si pensa da tutti i pedagogisti. Anzi, è la scuola stessa. E non sarà più vero allora che in una scuola non si profitti perché non v’è disciplina; ma piuttosto che non v’è disciplina perché non vi si profitta. E non vi si profitta perché non vi è organizzato il sapere, perché il sapere che vi è portato dal maestro non è schietto processo spirituale: ché lo spirito è universale, diffusivo, unificatore, generatore di spirito”. Come dunque nella scuola, così nello Stato non v’è disciplina (e la guerra civile ben si potrà vedere come esempio d’indisciplina!) perché lo Stato non profitta, e non profitta, per parafrasare Gentile, perché non vi è organizzata l’autorità, perché l’autorità che vi è portata dal Duce e dal governo fascista non è schietto processo spirituale, con tutto quel che ne consegue. Siamo consapevoli, sostenendo ciò, di capovolgere l’opinione corrente di Gentile come uomo fino in fondo coerente con se stesso, che muore per le proprie idee [Un’ipotesi che ci siamo fatta è che, alla fine, Gentile fosse tanto calato nel “personaggio” di “filosofo del regime” che non volle o non poté più distogliersene {e neppure la lettura dell’approfondito resoconto di Franzinelli vale a negare questa ipotesi}]. La nostra impressione, comunque, è che in questo modo si potrebbe (tentare di) svincolare l’attualismo dal fascismo per un recupero di questa filosofia che forse può dare ancora qualcosa al nostro secolo [Questo è anche quanto cerca di fare Giuseppe Calandra in Gentile e il fascismo (Laterza, 1987) {... e in anni più recenti Salvatore Natoli in Giovanni Gentile filosofo europeo (Bollati Boringhieri, 1989) o Emanuele Lago in La volontà di potenza e il passato: Nietzsche e Gentile (Bompiani, 2005)}]. In questo senso sta anche il “rilevamento” del secondo “errore” gentiliano, che potremmo dire “teoretico”. È un fatto che Gentile, identificando autorità e libertà, finisce con il legittimare di fatto la dittatura nei suoi aspetti più biechi ed oscuri [evidentemente in quanto chi non obbedisce allo Stato, sia pur esso lo Stato fascista, non è libero, e in quanto tale non è veramente uomo]. Tuttavia, se noi ben intendiamo autorità nel senso datole teoreticamente da Gentile, vediamo che essa è autorità spirituale. Il che dice tutto ma, nel contempo, non dice nulla, non contrapponendovi Gentile altro che l’arbitrio. Ma autorità non è la vera contrapposizione di arbitrio: la vera contrapposizione di arbitrio è, a nostro parere, potere [in questo si potrebbe dire che l’autorità sta alla libertà come il potere sta all’arbitrio]. {...} nelle lingue derivate dal latino c’è una {marcata} divisione di significato tra “auctoritas” e “potestas” in quanto, mentre il secondo termine sta ad indicare una “costrizione forzata” (ci si perdoni la tautologia) e sostanzialmente indifferente o contraria al volere altrui, il primo riporta ad una sfera più mediata di influenza, di esempio che una personalità maggiore esercita nei confronti delle personalità minori, tendente a far sì che ad essa si uniformino. Questa distinzione, come non esiste nel greco, {non è rintracciabile con pari pregnanza neppure nel tedesco}. Forse è proprio nel debito filosofico con la filosofia tedesca che è da rintracciare questa mancanza gentiliana? Sta di fatto che, a nostro vedere, se si separa autorità e potere, si può benissimo vedere il loro rapporto analogamente al rapporto, sempre gentiliano, tra bene e male, tra verità ed errore. In questo modo si sottrarrebbe la maggior parte dell’attualismo all’accusa cui si è fatto cenno prima [e che è portata avanti, in particolar modo, da Stelio Zeppi in Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo La Nuova Italia, 1973]. Inoltre questa pure ci sembra la strada per rispondere alle accuse di misticismo che Lo Schiavo fa alla filosofia politica di Gentile [Aldo Lo Schiavo La filosofia politica di Giovanni Gentile Armando, 1971. A nostro avviso, la critica di teologismo e di misticismo rivolta in questo volume alla filosofia politica gentiliana, è sostanzialmente da ricondurre alla critica all’attualismo che Croce muoveva nella sua lettera alla “Voce” del 1913 indirizzata Agli amici della Biblioteca filosofica di Palermo, ripubblicata in Conversazioni critiche II, Laterza, 1913].

{Naturalmente sono da riconsiderare anche i concetti gentiliani di Stato e le dicotomie tra male-errore vs. bene-verità quali incarnazione i primi dell’astratto passato ed i secondi dell’attuale presente, anche se questo comporterebbe} tentare una riforma dell’idealismo gentiliano che esula dalle finalità inerenti a tale ricerca.

Concludiamo riprendendo, dal primo testo gentiliano esaminato, la concezione volgare della libertà (che pure là egli critica, ma che serve bene ad illustrare il concetto che abbiamo in mente):

La libertà procede sul sottilissimo taglio d’una lama affilata, da una parte della quale c’è la licenza, - il più bestiale dei vizi umani - dall’altra, la tirannia [G. Gentile L’insegnamento della filosofia nei licei citato dall’edizione reintitolata Difesa della filosofia Sansoni, 1969, p. 16].

Si può ben dire dunque, seguendo questa ingenua concezione della libertà, che Gentile, per non cadere nella licenza e nell’anarchia, sia caduto nell’errore opposto: la tirannia fascista, senza più essere capace di uscirne [Abbiamo visto nella nostra ricerca come sempre Gentile abbia presente, parlando di degenerazione della libertà, della licenza. Al contrario egli raramente esamina il caso della tirannia, proprio come il motivo della già mostrata insufficiente elaborazione del concetto “pratico”, “tecnico” di Stato. Ecco dunque un’altra base di partenza per una possibile revisione della filosofia politica gentiliana, che non lavori solo sulle “suggestioni”, come vorrebbe Calandra, ma nel preciso merito della teoria filosofica].

- - -

Al di là delle considerazioni su una auspicabile riforma della dialettica gentiliana, spero di aver dimostrato la lacuna del testo di Franzinelli: non è possibile un giudizio sensato sul filosofo Gentile, neppure un giudizio di condanna, senza aver esplorato tutte le sfaccettature della sua produzione, teorica e, per dir così, pratica. Come abbiamo accennato la Riforma è il frutto di vent’anni di discussioni, di confronti, di pubblicazioni di cui Gentile è forse l’anima preminente, ma non certo l’unica e anche il famoso discorso del manganello con cui giustifica le violenze delle squadre fasciste, per quanto odioso, si inserisce in un complesso ordito ideologico di cui non è possibile fare a meno per esprimere tale giudizio di odiosità.

È quanto meno auspicabile che i lettori del libro di Franzinelli s’avvedano di questa profonda lacuna e sentano il bisogno di colmarla. Magari proprio coi suoi testi di cui i due volumi del Sommario di pedagogia e La riforma dell’educazione sono non solo testi accessibili ma anche elementi cardini per capire perché la politica di Gentile è stata quello che è stata ma anche perché avrebbe potuto essere qualcosa di assai diverso.


Commenti

I post più popolari nell'ultimo anno

Contro la divinazione fast-food: lo "I Ching"

I miei figli ogni tanto si e mi domandano quale esattamente sia la mia fede religiosa. Un po’ per scherzo un po’ no, dico loro che sono taoista: del resto ho riletto il Tao Te Ching (meglio: il Daodejing secondo la translitterazione Pinyin; per motivi puramente sentimentali mi sia perdonato l’uso della vecchia translitterazione Wade-Giles per parlare del Libro della Via e della Virtù ) svariate volte e ne posseggo almeno 4 edizioni significative (Adelphi, Utet e due diverse Einaudi). Certo la mole è diversa rispetto ad altri testi "sacri" quali la Bibbia o il Corano, ma per certi versi contrapposta alla difficoltà e profondità del messaggio. Tuttavia non vorrei qui parlare del Tao Te Ching , quanto di un altro classico cinese ancora più antico: Il libro dei Mutamenti o I Ching (Pinyin: Yijing ). La composizione dell’ I Ching risale a oltre un millennio prima della nascita di Cristo come forma di registrazione delle divinazioni fatte utilizzando le ossa degl

Homo ludens: play e game

  La lettura di Homo ludens di Johan Huizinga, il testo che per primo consapevolmente e programmaticamente analizza il gioco all’interno della storia e della cultura umana, e che per questo viene considerato all’origine dei “game studies” ( vedi qui per un parallelo tra l’analisi huizinghiana e l’antico classico cinese I Ching ), pubblicato originariamente nel 1939, nell’edizione italiana (quella utilizzata dal sottoscritto è del 2002) Einaudi si arricchisce di un saggio introduttivo di Umberto Eco del 1973: “Homo ludens” oggi . Sinteticamente Eco rimprovera ad Huizinga di non considerare nel suo testo la dicotomia, perfettamente esplicitata in lingua inglese, tra play e game . Play , l’oggetto del libro huizinghiano, è l’attività ludica, il giocare. Game è invece il sistema di regole e meccaniche del gioco. Nella sua critica ha ragione a sottolineare come Huizinga, che pure sottopone ad una analisi linguistica approfondita il concetto di gioco passando dalle lingue primitive a quel

No more Facebook

Ormai da più di un mese il mio account Facebook è bloccato. Tutto è iniziato con la richiesta di Facebook di caricare un documento d'identità fotografandolo tramite una app messa direttamente a disposizione dal social. Da allora il laconico messaggio che mi si propone è il seguente: Il controllo delle tue informazioni potrebbe richiedere più tempo del solito Grazie per aver inviato le tue informazioni. Le abbiamo ricevute correttamente. A causa della pandemia di coronavirus (COVID-19), disponiamo di un numero inferiore di persone addette al controllo delle informazioni. Il controllo del tuo account potrebbe richiedere più tempo del solito. Facciamo sempre molta attenzione alla sicurezza delle persone su Facebook, pertanto fino ad allora non potrai usare il tuo account. Grazie per la comprensione.  Ora, dopo il tempo passato, il messaggio è evidentemente farlocco dato che anche la pubblica amministrazione più inefficiente e disorganizzata sarebbe riuscita in oltre un mese a controll