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Confederalismo democratico: una sintesi personale

Abdullah Ocalan
Negli ultimi mesi mi sono molto interessato alla situazione del Rojava, la regione nel nord della Siria con un governo autonomo da parte dei curdi che hanno combattuto e sconfitto le truppe estremistiche del sedicente califfato islamico. Tale autogoverno trova la propria carta fondamentale nel “Contratto sociale del Rojava”, concretamente ispirato al “confederalismo democratico” teorizzato da Abdullah Öcalan. 
Abdullah Öcalan è stato uno dei fondatori del partito curdo dei lavoratori, il PKK, ed ha condotto dalla metà degli anni ‘80 delle azioni di guerriglia contro il governo turco per ottenere la liberazione del popolo curdo oppresso dagli stati in cui è diviso, in particolare dalla Turchia che vieta esplicitamente l’uso della lingua curda e l’insegnamento delle relative tradizioni. La storia della sua cattura dev’essere ancor oggi motivo di vergogna per l’Italia. Nel 1998 infatti, inseguito dalla giustizia turca, Öcalan si rifugiò in Italia, chiedendo asilo politico. Il governo dell’epoca, a guida di D’Alema, pressato dalle minacce di boicottaggio turco alle aziende italiane, non attese il responso della magistratura italiana (che successivamente il diritto all’asilo), e spinse Öcalan a fuggire dall’Italia per rifugiarsi in Kenya dove fu raggiunto dai servizi segreti turchi e imprigionato nel carcere politico sull’isola di Imrali, con una condanna a morte successivamente commutata in ergastolo. Proprio da Imrali Öcalan decise il cessate il fuoco unilaterale da parte degli indipendentisti curdi ed elaborò una approfondita analisi storico-politica del Medio Oriente, sottoponendo ad una spietata autocritica la teoria comunista del materialismo storico, soprattutto così come concretizzata dagli stati del cosiddetto socialismo reale - URSS in primis - e sviluppando una versione che si può definire “confederalismo democratico”.
Negli ultimi suddetti mesi ho iniziato a leggere le opere di Öcalan, pubblicate in italiano da Edizioni Punto Rosso, e cerco di sintetizzare qui la proposta politica anche con qualche considerazione sul contesto locale.
Il confederalismo democratico si basa su tre pilastri (in realtà quattro, ma il quarto, che per certi versi regge gli altri tre, è una condizione imprescindibile e lo vedremo alla fine): ecologia, femminismo e federalismo.

Ecologia.
Per certi versi il più “banale” e quello che forse necessita meno di “spiegazioni”. Nessuna classica concezione “operaista” può sopravvivere ad un pianeta con le risorse in esaurimento e con un clima che è responsabile degli sconvolgimenti economico-politici, ma soprattutto causa prima di mortalità non solo umana, e penso agli incendi, alle alluvioni, ai vari letali inquinamenti, alla desertificazione, all’aumento del livello degli oceani, ecc. Tutti questi problemi non sono singoli elementi ognuno con una propria soluzione locale, ma facce del medesimo problema che può ottenere una soluzione solo se globalmente affrontato. D’altra parte tale soluzione globale non può essere calata dall’alto, ma deve partire dal basso, dai comportamenti quotidiani, dal rispetto che ogni comunità pone nella tutela del proprio territorio. Uno dei fondamenti della rinascita, anche economica, del Rojava è stato proprio la “green economy” attuata piantando alberi, valutando la sostenibilità ambientale delle imprese, utilizzando preferibilmente energie rinnovabili. Non un caso dunque che con l’invasione della Turchia alla fine dello scorso anno si sia visto il completamento della diga di Ilisu che sommerge territori produttivi e siti di inestimabile valore storico, o il taglio di 400 piante di ulivo da parte dei mercenari turchi che occupano la cosiddetta “Safe zone” imposta dalla Turchia in Rojava. 

Femminismo.
Il mondo islamico, in modo più evidente rispetto a quello occidentale, è stato caratterizzato da una penalizzazione estrema della figura femminile: dalla sua irrilevanza nelle decisioni politico-amministrative, al blocco nel percorso formativo, alla cancellazione della sua stessa immagine pubblica attraverso l’imposizione di un abbigliamento iperbolicamente castigato, alla sottomissione - fin da bambine - a matrimoni concordati ed imposti dalle famiglie. Se in Occidente non si arriva a tali eccessi non è comunque che la situazione sia radicalmente diversa, in considerazione del numero quotidiano di femminicidi, della forbice salariale tra maschi e femmine, della disparità di genere tra i decisori sia politici sia aziendali. Öcalan studia come si sia giunti a questo risultato e spiega che esso deriva dal ribaltamento, alle origini della storia, della società matriarcale, comunitaria ed orizzontale, in società patriarcale, verticistica e fondata sul potere. Nucleo fondamentale del patriarcato è la famiglia, con la figura maschile in veste di padrone-re, che si riflette in ogni aspetto sociale compreso quello dello stato, a qualsiasi livello basato non sulla democrazia, cioè sulla compartecipazione e condivisione delle decisioni, ma piuttosto sull’equilibrio e l’imposizione del potere (e mi sia concesso di ricollegare questa spiegazione alla teorizzazione dell’uccisione del padre da parte dell’antipsichiatra David Cooper negli anni ‘70). È proprio qui che si fonda la critica di Öcalan al “socialismo reale”: esso ha fallito perché ha mirato alla dittatura del proletariato, cioè ad un trasferimento del potere (piuttosto che ad una sua riduzione o cancellazione) conservando la struttura fondante del potere, cioè lo stato. In Rojava non solo è stata contrastata la violenza sulle donne proteggendo quelle in fuga dai matrimoni combinati o dalle violenze e soprusi domestici, garantendo la libertà di espressione e formazione, ma anche prevedendo che ad ogni livello decisionale debba contemporaneamente partecipare una figura maschile ed una femminile.

Federalismo.
La parola “federalismo” in Italia è stata nel DNA costitutivo di una delle maggiori forze politiche. Pur considerando per lo più il federalismo in un’ottica fiscale e rivendicativa (il nord sfruttato contro il centro ed il sud rapaci) è per certi versi strabiliante come non solo - nonostante gli anni al governo - quella forza non sia stata in grado di realizzare nello stato italiano quei principi (se si eccettua l’autonomismo recente di Lombardia e Veneto - ed Emilia-Romagna - vissuta come “secessione dei ricchi”) anzi si sia da ultimo trasformata in forza statalista e conservatrice. Il confederalismo öcalaniano non ha molto a che vedere col federalismo fiscale e rivendicativo della Lega (ma qualche similitudine all’idea del federalismo di Miglio la si potrebbe riscontrare) anche perché è visto principalmente come forma decisionale collaborativa che non può organizzarsi in dimensioni geografiche vaste. Il livello organizzativo deve essere quello della comunità, in cui ognuno ha la possibilità di esprimersi e partecipare. Livelli più elevati di amministrazione devono essere limitati alla difesa comune e al riequilibrio delle risorse.

Democrazia.
Democrazia è la capacità di tutte le donne e di tutti gli uomini di una comunità di prendere decisioni assieme. Öcalan considera antitetici stato e democrazia: più c’è stato e minore è il grado di democrazia. Stato e democrazia comunque, più che essere condizioni reali, sono estremi su una retta al cui interno troviamo tutte le varie manifestazioni sociali. Pertanto l’obiettivo del confederalismo democratico non è concretamente quello di eliminare lo stato, quanto piuttosto di limitarlo al minimo indispensabile attraverso la creazione di unità amministrative in cui viga effettivamente la democrazia cioè dove tutti, sia uomini sia donne, possano partecipare all’organizzazione e alla gestione della comunità. In questo contesto anche problemi come la disoccupazione verrebbero ad avere una ricaduta minima in quanto la gestione del lavoro non dipenderebbe da organismi o agenzie esterne non di rado disinteressati agli equilibri locali. Per un esempio vicino a noi di comunità di questo tipo è la comunità No-TAV raccontata da Wu Ming 1 in Un viaggio che non promettiamo breve. In quel caso le persone che si sono unite per tutelare il territorio dallo scempio della costruzione della linea ad alta velocità, hanno saputo organizzarsi oltrepassando l’azione rivendicativo-politica per trasformarsi in vera e propria comunità in grado di prendere decisioni comuni, di autodifendersi e tutelarsi, di creare uno scenario di autogoverno. In questo senso “democrazia” non è una delle colonne del confederalismo democratico ma piuttosto la sua “conditio sine qua non”. Interessante il fatto che tale condizione non sia da confondere con l’anarchia, cioè con l’assenza di governo ma piuttosto con la condizione dell’assenza di stato (qual è la parola per definire tale condizione? di una persona che non ha nazionalità si dice che è “apolide” ma il termine non mi piace in questo contesto perché richiama più alla polis, cioè alla città, mentre in questo caso si toglie la struttura burocratica centralizzata non l’appartenenza ad un territorio). Il livello delle comunità potrebbe essere paradossalmente per l’Italia, quello delle province. Paradossalmente perché questi enti di recente sono stati svuotati di risorse e di potere, trasferito al livello regionale, che a sua volta ha visto deleghe ritirate e riprese a livello centrale. Il livello provinciale è un livello relativamente ampio, ma non tanto da non consentire a chiunque una partecipazione diretta ed un investimento conoscitivo e pratico del territorio. Un confederalismo democratico all’italiana potrebbe partire proprio da questi vituperati organismi territoriali per riprendere il potere che progressivamente si è ricentralizzato e rimetterlo nelle mani di uomini e donne.
Il concetto di democrazia è quello che sorregge ed unisce gli altri tre che isolati potrebbero risultare astratti e/o velleitari. Solo la comunità che vive assieme, in cui ognuna/o rispetta ogni altra/o, può prendere assieme le decisioni per la comunità stessa - azione già di per se stessa "ecologica" perché inevitabilmente ricade sul proprio ambiente di vita inevitabilmente con la finalità di migliorarlo.


Illustrazione di Zerocalcare per Artists for Rojava: opere d'arte in asta come forma di solidarietà al Rojava 







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