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Linus e la politica dei nativi digitali

Ieri sera sono andato alla presentazione del libro di Paolo Interdonato dedicato alla storia della prestigiosa rivista a fumetti Linus (Linus, storia di una rivoluzione nata per gioco, Rizzoli Lizard) alla presenza, alla Festa dell’ARCI di Cremona, di buona parte della redazione della fanzine del Centro Fumetto Andrea Pazienza: Schizzo.
Alla fine dell’informata ed appassionata presentazione da parte dell’autore, il “leggendario” Massimo Galletti - nelle vesti per lui sicuramente un po’ strette di presentatore/moderatore - ha posto una domanda a mio parere cruciale sulla possibilità oggi di una rivista che riesca ad essere rivoluzionaria (coniugando fumetto a letteratura, ad arti visive, a teatro, a politica, ecc. facendosi non solo canale di comunicazione ma vero e proprio fenomeno di aggregazione ed educazione culturale) come fu Linus almeno dalla fine degli anni ‘60 fino agli anni ‘70/’80.
Galletti è convinto che un tale fenomeno si possa ripetere, anche in una rivista cartacea; per Interdonato invece una esperienza del genere oggi è ipotizzabile unicamente tramite app, bacheca virtuale o analoghi spazi elettronici. Per quanto la mia competenza nel campo del fumetto sia infinitamente inferiore a quella di entrambi, sulla questione mi trovo in disaccordo - con entrambi - e cercherò di spiegarne il motivo.
Anticipo subito che a mio parere il problema non è il medium utilizzato da un eventuale progetto editoriale (cartaceo o elettronico) ma piuttosto un radicale mutamento generazionale e il modo di porsi dei cosiddetti “nativi digitali” di fronte alla cultura ed alla politica.
Linus nasce quasi come epifenomeno di un gruppo di intellettuali interessati a discutere ed a far cultura assieme: quella specifica rivista né è un risultato non necessariamente obbligato.
Paolo Interdonato e Massimo Galletti
Personalmente non ho avuto una grande passione per Linus ma, anche per vicinanza anagrafica, ho seguito con attenzione, e per l’ultimo periodo anche da vicino, la scuola bolognese, da Pazienza fino agli ultimi fuochi d’artificio della fucina brolliana. Se fa specie sentirla chiamare “scuola”, definiamolo circolo, club, o che altro: la sostanza è che si trattava di un gruppo di artisti e non solo all’interno del quale le idee, gli stili e i progetti circolavano accrescendosi e stimolandosi a vicenda. Dopo quell’esperienza che arriva fino agli anni ‘90 l’interesse per il medium fumetto è scemato ed è tornato a riscuotere l’interesse non solo dei “diversamente giovani” principalmente mi sembra per la contemporanea presenza di due fenomeni: la crescente crossmedialità (di cui si è già detto e ancora si dirà altrove) e la fortuna del cosplay.
Massimo Galletti ha giustamente ricordato l’utilizzo della rivista in chiave identitaria: acquistare Linus, leggerlo e soprattutto mostrarlo alla propria comunità ed al mondo per parlare ad essi della propria collocazione culturale e politica. Per i “nativi digitali” tale assunzione identitaria avviene vestendo i panni stessi dei personaggi preferiti. L’identificazione non è più indiretta e dialettica ma diretta ed immediata. La persona si fa personaggio.
Cosplayers a Lucca Comics & Games
Non si tratta semplicemente di una moda. Nel fumetto e negli altri media è possibile osservare il medesimo fenomeno, soprattutto se gli autori sono giovani. Non assistiamo più ad un flusso artistico che si concretizza in un dialogo asincrono tra le diverse espressioni, ma piuttosto al massimo a forme “mimetiche” che non aggiungono e non tolgono nulla ma al massimo operano “spiazzamenti” utilizzando in un contesto elementi presi da un altro. Anche quando ci troviamo in presenza di risultati artisticamente apprezzabili, dobbiamo constatare che il processo utilizzato per ottenerli non è quello della “rimediazione” (vedi: Jay David Bolter e Richard Grusin Remediation: competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini, 2002) ma piuttosto quello del “remix” (vedi: Lev Manovich Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, 2002).
Questa differenza si ripercuote anche in ambito politico: distruttivamente in quanto nega alla radice l’essenza stessa della politica che è arte della mediazione. Basta per confermare l’osservazione dare uno sguardo al teatrino politico italiota dove la coalizione di maggioranza impone i propri provvedimenti con l’esclusiva forza dei numeri mentre la principale forza all’opposizione rifiuta qualsiasi dialogo e/o confronto imponendo su tutto l’aut-aut dell’o si fa come diciamo noi o non c’interessa. Comportamenti identici nell’opposizione dei ruoli che negano qualsiasi ruolo alla mediazione ed al compromesso che, se può essere una soluzione negativamente al ribasso, può anche tradursi in una preziosa strategia “win-win”.

In questo senso non c’è lo spazio oggi per una rivista elettronica o cartacea, ma anche solo per una zona più o meno temporaneamente autonoma che sia palestra di dibattito intellettuale, culturale e politico. Perché la modalità prevalente è il pensiero tendenzialmente unico del leaderismo postmoderno in cui chi ha la forza per farlo (economica, culturale, d’immagine, ecc.) da le coordinate e gli altri si identificano adeguandosi, adottandone mimeticamente (e non dialetticamente, e non criticamente) idee, gergo, antagonisti. Interdonato raccontava che la redazione di Linus rispondeva a quelli che criticavano la proposta dei fumetti di Krazy Kat di leggerli per imparare ad apprezzarli. Ecco: oggi il panorama dei media non offre più spazio all’apprendimento, soprattutto all’apprendimento critico, ma solo ad adesione/opposizione che, nella loro contrarietà, appartengono entrambi al declino della società occidentale ed al dominio universale del pensiero debole funzionale all’instaurazione di poteri sempre più forti.

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