I bibliotecari e le bibliotecarie hanno dovuto affrontare
difficoltà quando ancora gli altri uffici pubblici navigavano in acque
relativamente tranquille: questo perché un po’ sempre e ovunque
dirigenti/amministratori/politici all’investimento a lungo termine costituito
dalla biblioteca e dai suoi servizi hanno preferito e preferiscono investimenti
in servizi ed eventi d’immediata visibilità quantunque di breve respiro.
Ma oggi bibliotecari e bibliotecarie hanno aggiunti ai
problemi di sempre problemi nuovi che approfondiscono ed aggravano quelli
vecchi. Pensiamo alla Legge Levi che non fa differenza tra l’individuo lettore
e l’istituzione biblioteca preposta a promuovere, diffondere la lettura ed a
realizzare attività finalizzate all’educazione permanente. Pensiamo ai libri
elettronici che vengono trattati, sia come logiche distributive, sia da un
punto di vista legale, in modo completamente diverso dagli omologhi cartacei. In
più, ovviamente, l’approfondirsi della crisi economica ne fa il settore
maggiormente penalizzato da quei dirigenti/amministratori/politici attenti più
all’immagine immediata che alla costruzione di infrastrutture anche culturali
che possano contribuire ad uscire, per usare il gergo montiano, dal tunnel.
In più ci sono i bibliotecari e le bibliotecarie che
rimangono a casa. Più o meno convinti che ad affermare il valore della propria
professione serva, più che manifestare, il lavoro quotidiano con
libri/cataloghi/scaffali/ecc. Che di quei dirigenti/amministratori/politici
sono un po’ l’altra faccia della medaglia perché non colgono la necessità che
ogni professione – e quindi anche la nostra – faccia marketing di se stessa. E
il marketing nel nostro caso non è di un prodotto, magari utile, ma la cui
diffusione va a vantaggio principalmente di chi lo produce, ma al contrario di
un servizio che produce benefici per tutta la comunità.
Dobbiamo convincerci che la professione bibliotecaria è un
lavoro anche politico. Politico, non partitico: non pertiene tanto all’essere
progressisti o conservatori ma pertiene alla fede nella democrazia e nella
possibilità che tutti abbiano accesso alla conoscenza per poter esercitare una
cittadinanza consapevole. Per poter far questo fino ad oggi (non è vero ma
facciamo finta che più o meno lo sia) avevamo la garanzia del sistema politico
e delle leggi che emanava. Oggi non è più così: il potere politico è
condizionato e spesso sostituito dal potere economico al quale dell’accesso
democratico al sapere non importa nulla, anzi: gli da fastidio in quanto
bypassa il tornaconto economico immediato di qualche soggetto (in primis gli
editori). Per questo è più che mai necessario che bibliotecari e bibliotecarie
si mettano nell’ottica tutta politica (non partitica) di promuovere la funzione
di tutela della democrazia della biblioteca presso coloro che in ultima istanza
possono decidere le sorti del paese, ovvero i cittadini. Per questo i cittadini
dobbiamo raggiungerli, dobbiamo parlare con loro, dobbiamo spiegare il valore
del servizio e dobbiamo spiegare loro cosa significherebbe perderlo in parte o
in toto. Non è più tempo di rinchiuderci nelle torri d’avorio del sapere, non è
più tempo per sperare che qualcun altro ci tolga le castagne dal fuoco. È ora
di scendere in piazza come molti di noi hanno fatto sabato scorso in modo che
le nostre ragioni, che sono le ragioni di chi ha a cuore lo sviluppo economico,
sociale e culturale del paese, siano ascoltate.
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