Pensateci. Una riserva di giochi nel vostro garage, dove, ogni volta che lo volete, tutta la vostra famiglia può giocare. Dopo cena, magari, quando tutto è stato rimesso in ordine. Immaginate cosa significherebbe avere questo posto con tutti i giochi e i giocattoli e le cose con cui vi piace giocare - i giochi che piacciono ai ragazzi, i giochi che piacciono agli adulti, i giochi che piacciono a tutta la famiglia - tutti lì, a disposizione per quando abbiamo voglia di giocare. E c'è tutta la vostra famiglia, che gioca assieme e diventa, per breve tempo, una comunità di gioco, in uno spazio speciale che avete costruito assieme perché ciò possa accadere. E quando arrivano i vostri amici, anche loro diventano parte della comunità di gioco, ed anche loro costruiscono le loro riserve di giochi, cosicché mai, mai più dovrete fare l'esperienza di non avere nessun posto in cui giocare quando avete voglia di giocare.
E pensate a cosa potrebbe accadere al lavoro quando, magari per un'ora, o quando il turno è finito, potete incontrare altri in una riserva di giochi. Solo per un po', dopo aver passato la giornata a fare qualsiasi cosa abbiate dovuto fare per lavoro, e facendolo il meglio possibile, voi venite in questo posto e giocate assieme. Pensate al sollievo, al ristabilimento di niente più che la vostra gioia elementare di giocare bene assieme. Pensate all'essere sciocchi. Al fare qualsiasi cosa, senza proposito, senza motivo. Pensate al gioco delle limonate che potete giocare.
E nelle scuole per i nostri figli, pensate a giocare a Thar's a bar con i ragazzi e gli insegnanti e i dirigenti. Pensate alla validità educativa di creare la comunità di gioco definitiva.
E negli ospedali, dove siamo così lontani dal benessere che a malapena possiamo esistere coi nostri corpi, pensate a cosa potrebbe essere trovare anche lì riserve di giochi, dove noi possiamo giocare a qualsiasi gioco siamo in grado di giocare, e trovare un modo per celebrare la salute che ancora ci rimane e, sperabilmente, la maggiore salute a cui stiamo per ritornare.
Una riserva di giochi dove le persone con disabilità e le persone anziane e quelle giovani e quelle senza alcuna etichetta potrebbero tutte giocare assieme, ognuna assieme all'altra, nella medesima comunità.
E allora, pensate a questo: Noi non abbiamo davvero bisogno di alcuna riserva di giochi. Sarebbe bello. Sarebbe meraviglioso. Sarebbe raggiungere un traguardo, una testimonianza del valore del giocare bene assieme, del bisogno fondamentale di giocare, al fatto che tutti noi lo vogliamo al punto, ognuno di noi, di dare il permesso e la sicurezza di lasciare che avvenga.
Possiamo giocare ovunque. Non abbiamo bisogno di un posto speciale. Possiamo farne uno. Possiamo farne uno ovunque.
Non abbiamo nemmeno bisogno di giochi. Possiamo sempre trovare qualcosa con cui valga la pena di giocare. Possiamo trovare una palestra della giungla in un albero. Una rete da pallavolo in una staccionata. Tutto quello che dobbiamo fare è andare ognuno da un lato e giocare.
Bernard (aka Bernie) De Koven, nato nel '41 e morto lo scorso 24 marzo, è stato prima di tutto un "facilitatore ludico". Detto così sembra una roba difficile e accademica. Proviamo in un altro modo. La mission di Bernie era quella di far stare bene insieme le persone giocando. Ha iniziato alla fine degli anni '60 in una scuola elementare e non ha smesso ancor oggi, a mesi dalla sua scomparsa, se possiamo continuare a farci motivare dalle sue parole.
I passi riportati all'inizio vengono (con traduzione mia, pur la cui rozzezza chiedo venia) dal suo libro considerato più importante: The Well-Played Game: A Player's Philosophy, originariamente pubblicato nel 1978 e nel 2013 ripubblicato da The MIT Press. Bernie nel libro mette a frutto la sua esperienza nel far giocare assieme e nel creare attraverso il gioco comunità affiatate di bambini e ragazzi considerati "difficili" dal sistema scolastico, e poi gente di ogni età e provenienza nel fienile dietro casa e poi attraverso la New Games Foundation. L'ultima testimonianza di Bernie è il libro A Playful Path (sempre del 2013) disponibile non solo in copia cartacea ma anche come ebook gratuito al sito ad esso dedicato: https://www.aplayfulpath.com.
In A Playful Path Bernie approfondisce ed amplia esattamente il discorso là dove era arrivato nel brano citato. In esso Bernie parla di "riserve di giochi" (games preserve) pensando esattamente ed esplicitamente al fienile della fattoria in cui s'era trasferito. Un luogo che aveva adattato per contenere i giochi ed i giocattoli che aveva raccolti, ed in cui ospitava familiari, parenti, amici ma anche semplici visitatori per giocare assieme. Quel che conta - sostiene in tutto il libro - non è il gioco (game) ma il giocare (play) che porta ad essere affiatate a considerare il gioco ben giocato (well-played game) come il risultato atteso piuttosto che la mera vittoria di uno o dell'altro giocatore. Il gioco ben giocato trasforma il gruppo dei giocatori in una comunità di gioco (play community), trasforma individui in una comunità.
Non importa il gioco (game), non importa il risultato: importa stare bene assieme. Concetto chiave dello staren bene assieme attraverso il gioco e quello della fiducia, della fiducia che ogni giocatore ripone in ogni altro giocatore. A questo il gioco permette di arrivare facilmente perché è un'attività separata dalla realtà: in gioco, nel gioco, non c'è la nostra sicurezza fisica o economica. Non c'è la nostra ideologia, le nostre convinzioni, le nostre credenze. Il gioco - Huizinga docet - è una spazio separato dalla realtà, e Bernie rincara la dose: se dalla realtà ci facciamo contagiare all'interno del gioco - ad esempio essendo convinti che dobbiamo vincere per principio, per recuperare le perdite, per mostrare di essere migliori... - allora non stiamo più per davvero giocando ad un gioco. Per questo fidarci degli altri giocatori è più semplice: implica solo fiducia che non bareranno, che non ci imbroglieranno, che giocheranno lealmente con noi impegnandosi al meglio per riuscire a raggiungere assieme il grado del gioco ben giocato così da divertirci tutti assieme.
In questo senso non importa il gioco quanto la volontà di giocare: il gioco ideale è sempre una ricerca perché se diventassimo tutti bravissimi a giocare un gioco, automaticamente quel gioco perderebbe d'interesse non apportando più alcuna sfida ai giocatori ed alla comunità di gioco. In A Playful Path Bernie ci suggerisce quindi che non c'è neppure bisogno di un gioco per giocare. Qualsiasi occasione della vita può essere utilizzata in un'ottica giocosa, ed anzi attivare quest'attitudine ci consente di vivere meglio guardando con un'ottica diversa la realtà che ci circonda.Possiamo anche giocare con gli sconosciuti che incrociamo per strada, lanciando segnali in codice, sorrisi, facendo gli sciocchi non per essere sciocchi o per mettere gli altri in imbarazzo ma per coinvolgerli nella nostra visione giocosa del mondo.
Per fare un esempio che sicuramente Bernie non ha potuto conoscere e che pure sono sicuro gli sarebbe piaciuto cito la pagina Facebook Strategie per contrastare l'odio (https://www.facebook.com/strategieper/) con cui Beniamino Sidoti si prodica giocosamente per contrastare i virus "hater" che circolano sui social.
Concludo con un piccolo rammarico personale. Ho scoperto A Playful Path solo all'inizio di quest'anno. L'ho scaricato ed iniziato - entusiasta - a leggerlo. Tanto che ho mandato all'indirizzo di posta elettronica segnalato una richiesta di discussione a Bernie, solo per avere notizia alcuni giorni dopo della sua scomparsa. Quello di cui avrei voluto discutere con Bernie è della sua impostazione messa a confronto con quello che per me è uno dei paradigmi di quanto conosco, l'inizio di Nodi di Ronald D. Laing: "Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non giocare a un un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare, infrangerò le regole e mi puniranno. Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco." Cioè il gioco inteso non solo come liberazione e come stare bene in una comunità, ma anche come strumento di falsificazione da parte di una comunità oppressiva in cui, come in Pianeta Eden di Stanislaw Lem, nega perfino la propria esistenza per imporre il proprio dominio. Come è possibile coniugare due declinazioni così distanti del concetto di giocare? Probabilmente Bernie mi risponderebbe che la realtà descritta da Laing non è davvero un gioco, perché non c'è in tutti i giocatori la "willingness to play", la volontà di giocare (in accademichese: la volontarietà dell'atto ludico). La volontà non può trasformarsi in un obbligo altrimenti il gioco non è più un gioco e la fiducia tra i giocatori svanisce. Il gioco, nonostante tutto, forse resta l'unica cosa che potrà salvare il mondo, o almeno gli esseri umani.
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