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Il mondo del microlavoro che avanza

È uscito nei mesi scorsi il libro Work Without the Worker. Labour in the Age of Platform Capitalism (Verso Books) di Phil Jones, ricercatore per il think tank Autonom, scrive per la London Review of Books, il Guardian, il New Statesman e Novara Media. Il libro è dedicato alla crescente rilevanza del “microwork” nel mercato del lavoro globale. Il microlavoro è quello effettuato sulle piattaforme come Mechanical Turk di Amazon per compiere microcompiti come effettuare test di riconoscimento di testo, immagini o altro per “addestrare” gli algoritmi, per fare da moderatori su social e forum, per migliorare traduzioni automatiche di testi, per coordinare le consegne dei rider, ecc. Questi microcompiti vengono spacciati dalle piattaforme e da organismi come la Banca Mondiale come non-lavoro, come opportunità di acquisizione di competenze. In realtà, attraverso la frammentazione dei compiti, aziende come Amazon, Microsoft, Google, Tesla, ecc. riescono a far effettuare con poca o nulla retribuzione attività lavorative anche molto complesse che, complessivamente, sarebbero lavori da figure professionali medio-alte. Al contrario i microlavori posso essere distribuiti a livello globale, soprattutto attraendo persone con difficoltà a trovare un lavoro stabile, come persone nei campi rifugiati, abitanti degli slum di Africa e America Latina, il vasto sottoproletariato indiano, ecc. Addirittura questi compiti vengono assegnati, travestendoli da forma riabilitativa, a detenuti in prigione. Non solo ognuno di questi microlavori viene retribuito con un corrispettivo economico irrisorio (costringendo i lavoratori a perdere più tempo nella ricerca improduttiva da un punto di vista salariale di microcompiti che nello svolgimento effettivo degli stessi), ma spesso la retribuzione viene effettuata tramite voucher della ditta appaltatrice, vincolando il lavoratore all’azienda per cui lavora. Di più: oltre a non retribuire adeguatamente i lavoratori per i microlavori assegnati, le aziende hanno spesso un guadagno maggiore dall’appropriazione dei dati dei lavoratori che accedono alle piattaforme di quando sia il volere effettivo dei lavori svolti (sul valore dei dati personali utilizzati dalle Big Tech avevo scritto parlando del libro Algorithms of Oppression: How Search Engines Reinforce Racism di Safiya Umoja Noble). La microframmentazione del lavoro serve inoltre per tenere divisi sulle piattaforme i lavoratori ed impedire che si sviluppino forme di associazione più o meno sindacale.

Phil Jones rimporta tale spinta verso la microframmentazione del lavoro alla situazione alle origini del capitalismo quando “mandrie” di lavoratori non specializzati si spostavano alla ricerca del lavoro di volta in volta disponibile. Jones sottolinea anche l’alleanza tra la tendenza alla microframmentazione del lavoro da parte delle Big Tech del digitale e la destra sovranista internazionale che spingendo per evitare la regolarizzazione dei migranti contribuisce a creare sacche di persone disperate e senza reddito (nei campi profughi) disponibili a lavorare per le piattaforme in cambio di pochi soldi, non avendo nessun altra prospettiva. Il modello non è particolarmente diverso da quello posto in atto dalla Lega (ma non solo) di Governo che sfrutta il non regolarizzare gli immigrati per creare una forza lavoro grigia, disperata e ricattabile.

Per Jones la soluzione non sta nei sindacati per la loro impossibilità di agganciare una moltitudine così disparata e fluida, ma piuttosto nella radicale accettazione del nuovo modello del mercato di lavoro: non la richiesta di salari più alti per i microlavoratori, ma l’eliminazione del salario per tutti. L’introduzione di un “reddito di cittadinanza” (reale, non il finto reddito di disoccupazione introdotto dal primo Governo Conte) svincolerebbe i lavoratori dal dover cercare un lavoro non voluto per potere garantire la sussistenza propria e dei propri famigliari ma garantirebbe la concreta realizzazione esattamente di quello che le piattaforme e la Banca Mondiale propagandano: li libertà di scegliersi compiti e microcompiti che più si sentono congeniali. Il problema magari sorgerebbe per quei lavori non microframmentabili, e non particolarmente appetibili (badanti, netturbini, ecc.) che corrono il rischio di restare scoperti se l’unica modalità di accesso è la scelta da parte dei lavoratori. Ma di questo il libro di Jones non parla: basta per ora aver messo l’accento sulla nuova tendenza, sempre più pervasiva del mercato del lavoro digitale o digitalizzabile.

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