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Aldo Braibanti e l'arte dei new media

Ieri - 5 marzo 2016 - si è svolta a Fiorenzuola d'Arda, città natale di Aldo Braibanti l'intitolazione a lui dello spazio culturale dell'ex-Macello ed un "convegno" serale dove hanno parlato di lui Alessandro Cassin (del Centro Primo Levi di New York), Paride Braibanti (nipote di Aldo e docente di Psicologia della salute presso l'Università di Bergamo), Stefano Raffo (autore del libro-intervista Emergenze pubblicato nel 2003 da Vicolo del Pavone) e Monica Dall'Asta (docente di Storia delle teorie del cinema presso l'Università di Bologna) [nell'immagine la segnalazione pubblicata sul numero di ieri de il manifesto].
Molto interessante nel convegno mi è sembrato il parallelo tra Braibanti e Carlo Michelstaedter, che hanno lavorato alle rispettive tesi di laurea sotto la guida dello stesso docente [ringrazio Raffaele Ferro per avermi fatto notare che, a differenza di quanto scritto in precedenza, Michelstaedter e Braibanti, per motivi banalmente anagrafici non avrebbero potuto essere contemporaneamente al lavoro sulle rispettive tesi di laurea... Colpa della stanchezza serale dopo una giornata intensa di lavoro il fraintendimento, e soprattutto di scarsa attenzione e mancanza di verifica durante la scrittura. Me ne scuso con tutti coloro che abbiano incrociato queste righe]. Non conosco quella di Braibanti sul grottesco, ma conosco bene per averla letta e riletta quella di Michelstaedter sul rapporto tra persuasione e retorica. Ma ciò di cui vorrei scrivere qui è altro. E precisamente riguarda l'esposizione di materiali artistici, provenienti dal fondo che alla morte di Aldo Braibanti la famiglia ha consegnato all'Amministrazione fiorenzuolana, allestita presso l'ex-Macello in occasione dell'intitolazione.
Pur essendo intrigato dalle opere d'arte costituite da assemblaggi di materiali diversi, mi mancava la presenza di una guida per interpretare le stesse, per capire le coordinate espressive utilizzate dall'autore. Dopo qualche ora passata a "ruminare" l'esigenza, ecco improvvisa l'illuminazione. E' successo che mi sono ricordato quanto letto su The Language of New Media di Lev Manovich (tradotto in italiano da Olivares) a proposito del fatto che all'interno dei new media la realizzazione delle opere non si inscrive nell'orizzonte della creazione ma sostanzialmente del riassemblaggio di materiali preesistenti ripresi da librerie create ad hoc. Ed assemblaggi sono le opere di Braibanti, costituiti da materiali eterogenei, come testimoniato da Raffo raccolti dagli scarti altrui. Assemblaggi dove i materiali di provenienza non si annullano nell'opera ma al contrario mantengono una loro riconoscibile identità che contribuisce a definire il senso dell'opera complessiva. Ecco allora che mi si chiarifica se non il significato, i riferimenti artistici nelle opere di Braibanti (troppo scarsa la mia conoscenza del suo percorso) quanto meno mi è chiaro il meccanismo che sta dietro la sua produzione artistica. Una produzione che, precorrendo quelli che saranno gli esiti artistici a cui lavorano i new media e i media digitali, non "crea" ma piuttosto riassembla, remixa elementi esistenti, lasciando che essi continuino a mostrare il loro essere ed anzi facendo sì che la loro identità specifica si metta in gioco all'interno di un contesto più ampio qual è quello in cui li pone l'artista. Come un brano musicale che presenti campionamenti riconoscibili provenienti da contesti musicali diversi e li riassembli/remixi in un nuovo contesto. E questo va di pari passo con la ribadita (da tutti i relatori) urgenza ecologica di Braibanti. Urgenza che si esprime in questo modo anche tramite il linguaggio artistico non nella distruzione della propria materia rifondendone la relativa identità in un'opera diversa, ma con il mantenimento di ogni identità in un'identità più grande.

Qui di seguito 4 foto delle opere esposte per gentile concessione del fotografo, Gianfranco Negri, che ringrazio.




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