Ieri, 19 aprile, a Bologna, nella Sala dell’VIII Centenario
dell’Università di Bologna si è tenuto il “processo” Quaestio de libris: libro di
carta o e-book? (http://www.aib.it/struttura/sezioni/2013/33482-quaestio-de-libris/).
A favore del libro elettronico (o digitale) – per evitare di usare termini
stranieri quando esiste il loro equivalente in lingua italiana – ha parlato
Valentina Kalk, responsabile delle UN Publications, mentre a favore dei libri
di carta si è espresso lo scrittore/bibliofilo/docente universitario Andrea
Kerbaker. Tutti rigorosamente togati come il giudice che ha emesso la sentenza,
Antonio Carioti, giornalista del Corriere della Sera.
Le motivazioni portate dall’una e dall’altro sono le solite
che si rincorrono nei vari ambienti in cui si parla dell’argomento: la
portabilità, la socialità, la bellezza, il profumo, la puzza, ecc. impreziosite
però dalla verve dei due sostenitori. Il giudice alla fine, pur ammettendo di
parteggiare per il libro di carta, ha assegnato la vittoria al libro digitale in
qualità d’inevitabile progresso della tecnologia (evoluzione e rivoluzione è
stata una coppia d'opposti evidenziata ma purtroppo non molto approfondita).
Non posso fare un resoconto più approfondito non avendo
preso appunti (magari Paolo Tinti – organizzatore dell’evento per l’Università
di Bologna, assieme ad AIB Emilia-Romagna – ha la possibilità di postare
qualcosa di maggiormente dettagliato) ma un paio di considerazioni personali mi
sembra doveroso condividere.
Quando Valentina Kalk ha argomentato contro la bellezza dei
libri cartacei sostenuta da Kerbaker, ha citato le ignobili pubblicazioni
realizzate su carta di polpa all’inizio del secolo scorso. Ora al sottoscritto
(non magari a Kerbaker, avendo espresso un approccio maggiormente elitario
all’oggetto libro) le parole della Kalk hanno richiamato alla mente
immediatamente la “pulp fiction” ovvero tutta quella vasta galassia di pubblicazioni
che hanno fatto da incubatrice alla letteratura di genere così come l’abbiamo
conosciuta nella seconda metà del secolo (fantascienza, fantasy, noir, ecc.) e
che è riuscita a restituire la realtà in maniera molto migliore rispetto al
cosiddetto mainstream. Come immaginare il 20. secolo senza l’immaginario
prodotto dalle opere di Howard, Asimov, Dick, Thompson, ecc.? Qualcuno dirà:
avrebbero pubblicato lo stesso anche nello scenario digitale grazie alla
facilità dell’autopubblicazione offerta da esso. Ma non è la stessa cosa: le
riviste, ad esempio di fantascienza, hanno aggregato scrittori e pubblico
facendone un “fandom”, una sorta di scuola. Questo difficilmente può accadere
con l’autopubblicazione che privilegia l’individualità dell’autore, piuttosto che
il suo coordinarsi con altri.
Il riferimento alla fantascienza mi ha riportato poi alla
mente un romanzo di Neal Stephenson: L’era
del diamante, che come sottotitolo ha Il
sussidiario illustrato della giovanetta proprio perché al centro della
vicenda – ambientata in un futuro medievalizzato dove una elite di pochissimi tecno-ricchissimi
dominano un’enorme massa di proletariato pauperizzato ritornando a usanze
paracavalleresche – sta un libro fatto creare appositamente da uno dei
ricchissimi per la propria nascitura: un libro (la tecnologia potrebbe essere un'unione di futuribili e-ink e di avanzata intelligenza artificiale) che si adatta automaticamente
alle esigenze cognitive di chi lo possiede portandolo in maniera
pedagogicamente efficace ad un grado ottimale di conoscenza e consapevolezza. Ma,
essendo Stephenson un’autore di tendenze anarcoidi e sinistroidi, fa si che
invece che alla destinataria il sussidiario capiti nelle mani di una figlia del
popolo con le inevitabili conseguenze narrative. Intanto è questo il libro
digitale che potrà soppiantare davvero il libro cartaceo, non quella versione digitale
grezza pre-stampa che passa oggi il mercato con quel termine. E non è un caso
che si potrebbero qui ripetere le stesse perplessità sull’attuale cosiddetto
libro digitale che già avevo sollevato in un articolo del 2003 per Bibliotime (Il sussidiario illustrato della giovinetta.
Su libri di carta e libri elettronici: battaglie finte e guerre vere http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-vi-1/mazzetta.htm).
Ancor oggi posso sottoscrivere quasi tutto quanto là scrivevo allora:
Ma già oggi fondamentalmente
la battaglia tra libro cartaceo e libro elettronico non è altro che una
battaglia di facciata che riguarda la forma solo per nascondere i reali
interessi sul contenuto. Infatti un libro, una volta acquistato, lo posso
leggere oggi o fra vent'anni, lo posso regalare, lo posso scambiare, lo posso
prestare a chi e quante volte voglio. Al contrario un testo elettronico limita
fortemente questa libertà. Ciò perché la distribuzione commerciale del software
e dei media digitali è basata sull'introduzione delle "licenze":
quando un utente (sia esso un privato cittadino o un'istituzione pubblica)
"acquista" un programma (un libro elettronico, un file musicale, un
DVD, un CD-ROM, ecc.), in realtà non acquista un oggetto quanto la licenza di
utilizzarlo, ovvero il software ed il supporto con quanto contengono non sono
in realtà suoi, ma rimangono del produttore che gli consente di utilizzarli a
determinate condizioni presenti nel contratto (quella "pappardella"
che ognuno di noi solitamente "skippa" impietosamente e forse con
eccessiva incautela). E la licenza può proibirne l'utilizzo in determinati
luoghi o oltre un dato periodo di tempo, oppure la cessione in dono o in
prestito ad una terza parte, ed altre cose banali che siamo abituati a fare con
un qualsiasi bene culturale: tanto che, più che vera e propria vendita,
potrebbe definirsi noleggio.
Ciò interessa le biblioteche non solo per quanto riguarda i
libri elettronici (un problema ancora di là a venire per molti di noi), ma già
da oggi per chi ha istituito mediateche o sezioni speciali con programmi
multimediali, giochi elettronici o film su DVD. Leggendo una qualsiasi licenza
di questi prodotti si ha la netta sensazione di un tentativo di svincolare
questi documenti dalla legislazione nazionale (e perciò non sempre facilmente
controllabile dalle aziende, pur se sempre più restrittiva) relativa a beni ed
istituti culturali per sottoporli ad una mera trattativa privata di utilizzo
non più soggetta ad alcuna delle "libere utilizzazioni" garantite
dalla legge. Tale impostazione deve essere attivamente combattuta dai
bibliotecari, principalmente tramite le associazioni di categoria, se non altro
perché è proprio questo il preciso mandato del Manifesto
IFLA su Internet proclamato
il 1° Maggio 2002:
"La libertà di
accesso alle informazioni, indipendentemente
dai supporti in cui sono contenute e
delle frontiere, è una responsabilità primaria della biblioteca e dei
professionisti dell'informazione"
[corsivo nostro]. Se tale libertà non verrà garantita a tutti si verrà sempre
più delineando la cesura già immaginata nel romanzo di Stephenson tra chi avrà
i mezzi economici per controllare la tecnologia, per ottenere quello che le/gli
serve quando le/gli serve e nulla più, e chi invece dovrà adattarsi a subire un
flusso di dati ridondante ed incontrollato il cui principale scopo è quello di
raccogliere informazioni piuttosto che fornirne.
"Se tale libertà non verrà garantita a tutti si verrà sempre più delineando la cesura già immaginata nel romanzo di Stephenson tra chi avrà i mezzi economici per controllare la tecnologia, per ottenere quello che le/gli serve quando le/gli serve e nulla più, e chi invece dovrà adattarsi a subire un flusso di dati ridondante ed incontrollato il cui principale scopo è quello di raccogliere informazioni piuttosto che fornirne." Concordo con le tue affermazioni. Il subire una mole di dati è una spiacevole quotidiana sensazione che avverto ormai da tempo. Semplificando, ho lo sensazione di disporre di tanti dati e in realtà di nessun dato. Sono un'immigrata digitale, ci provo ad ottenere la cittadinanza digitale, ma è cosa difficile. Stamattina ho spolverato pagina per pagina un volume dei famosi Quindici, acquistati da un tizio che voleva disfarsene. Ho provato il piacere di guardare le immagini a colori che stavano lì ferme e che si potevano riguardare, non scappavano via, magari perchè il pc va in risparmio di energia o perchè i Gb terminano e devi fare in fretta. No. L'ho girato e rigirato e non mi stropicciavo gli occhi come quando leggo al computer e sono costretta ad adattare la risoluzione dello schermo, la grandezza dei caratteri, lo zoom. Insomma, confesso: sono una maledetta nostalgica del cartaceo, ma potrei dire, per difendermi, che onestamente trovo assai più pratico il libro classico rispetto a quello digitale. Quest'ultimo mi stanca, mi annoia, mi da' la percezione della sua assoluta immaterialità: praticamente non c'è, non esiste. Notavo anche che dopo la lettura difficilmente ricordo i passaggi che mi colpiscono di più, mentre con il libro di carta ci gioco, litigo con lui disegnando una boccaccia con la matita quando non mi piace quello che dice o gli disegno un fiore tra le pagine quando mi porta via con sè e mi fa sognare. Toccare non equivale a touchare: è come un sentimento che sia apre e si dispiega in tutta la sua forza e intensità perchè viene vissuto realmente, al contrario, in un rapporto a distanza tutto accade virtualmente, le belle parole svaniscono, non resta traccia. Ciò premesso, mi rendo conto che effettivamente nessuno può fermare il progresso, ma non trovo "funzionale", per usare un termine di moda nell'era del tutto e velocemente, essere travolti da un progresso che non muta in meglio le condizioni precedenti. Qualche giorno fa un caro amico si chiedeva se gli e-books da lui acquistati potessero restare "suoi" per i prossimi 100 anni e se formattando in futuro più e più volte il pc e lo smartphone avrebbe avuto problemi di licenza, visto che spesso gli editori concedono l'uso su un numero predefinito di dispositivi (es. fino a 5 o 6). Perdonate la mia disinformazione a riguardo, ma dal momento che ne parliamo spero che chi mi legge abbia la clemenza di rispondere a questi due quesiti impliciti. Per il resto si sa: occorre abbandonare il calesse e prendere il treno. Io il calesse lo conservo però: mi ci farò un giro anche più di una volta tanto!
RispondiEliminaCiao e grazie per aver condiviso la tua riflessione.
EliminaForse è possibile una piccola precisazione: la lettura su un ereader è molto più comoda rispetto a quella sul computer e pian piano si va avvicinando a quella su carta. Detto questo il tuo amico non ha nessuna garanzia che fra cento anni i suoi ebook potranno essere letti. Un problema è quello legale che hai già citato. Un altro problema è quello della "retrocompatibilità". Ovvero con la velocità con cui cambiano i dispositivi elettronici è possibile che fra cento anni i dispositivi in grado di leggere gli attuali ebook si trovino solo nei musei (accade la stessa cosa per quelle opere, ad esempio i videogiochi, pubblicati non cento ma solo una ventina d'anni fa su floppy disk). Tanto più che il PDF, più o meno dotato di DRM, è un formato proprietario e se in futuro la società proprietaria ovvero Adobe volesse dismetterlo saremmo tutti nei guai.
Comunque su qualsiasi tipo di lettore elettronico anch'io ho la medesima sensazione: sfoglio, carico (bulimicamente), ma per leggere "davvero", non episodicamente, per "studiare" devo ancora avere un rapporto fisico col libro, quasi di natura "sessuale": devo farlo mio sottolineando, annotando, mettendolo lì dove lo posso vedere bene per non far finta che non ci sia e non spetti a me riaprirlo ed andare avanti (e mia moglie s'arrabbia perché dice che lascio tutto in giro: anche perché mediamente porto avanti contemporaneamente la lettura di 2/3 libri + qualche fumetto)...
Francesco