Passa ai contenuti principali

Biblioclastie


Ho recentemente terminato la lettura del settimo volume della collana “Conoscere la biblioteca” (Editrice Bibliografica) dedicato a La biblioteca raccontata a una ragazza venuta da lontano. Non vorrei qui però tanto parlare del pur interessante libro di Cecilia Cognigni (se proprio un peccato veniale è da trovarvi si tratta al più di certa “torinocentricità” di qualche passaggio) ma di una situazione incontrata agli albori della mia professione bibliotecaria che in qualche modo interseca l’esposizione dell’autrice.

Il capitolo in questione è quello dedicato alla “biblioclastia” ovvero alla distruzione dei libri finalizzata a distruggere fisicamente le idee degli avversari. Cognigni parte dalla distruzione della Biblioteca di Alessandria, passando per i roghi nazisti ed arrivando al bombardamento della Biblioteca nazionale a Sarajevo e al saccheggio della Biblioteca nazionale di Baghdad. Esempi certamente eclatanti di come regimi non democratici impongano la propria ideologia tramite la distruzione fisica delle idee non allineate. Ovviamente non possono non tornare alla memoria di ognuno come simbolo stesso della follia totalitaria i roghi nazisti - a cui parteciparono anche alti intellettuali come Heidegger - a cui la democrazia dovrebbe opporre il rispetto delle opinioni, anche di quelle più lontane dal proprio sentire. Non è un caso che la mission della biblioteca pubblica sia così chiaramente esplicitata dalle parole del Manifesto IFLA/Unesco del 1994:

La raccolte e i servizi non devono essere soggetti ad alcun tipo di censura ideologica, politica o religiosa, né a pressioni commerciali.

Ed è proprio qui che s’inserisce la mia esperienza leggermente divergente da questa “vulgata”. Ho preso servizio per la prima volta in biblioteca nell’ormai lontano 1987 e, successivamente al mio arrivo, sono iniziati lavori di ampliamento che hanno praticamente raddoppiato le due stanze a disposizione all’epoca. Ovviamente c’è stato un gran lavoro di spostamento dei libri presenti e nelle varie movimentazioni è spuntato un cartone di libri timbrati e collocati che tuttavia non figuravano né dal catalogo (all’epoca ovviamente cartaceo), né dai registri di collocazione, né dall’inventario. Si trattava di testi sul fascismo di epoca fascista. Tra di essi Le favole fasciste di Trilussa, Colloqui con Mussolini di Ludwig, Vita di Mussolini di De Begnac, eccetera. I registri d’inventario dell’epoca non erano presenti (in realtà sono stati trovati in seguito, ma di questo accennerò più avanti) e il registro di collocazione era stato riscritto in modo curioso. Ad esempio la collocazione su Colloqui con Mussolini di Emilio Ludwig (A. Mondadori, 1932) era Z-XXVII-6 che, nel linguaggio collocatorio del bibliotecario che aveva gestito all’epoca la biblioteca, significava sostanzialmente che il libro doveva essere collocato al 6° posto dello scaffale “battezzato” “Z-XXVII”. Nel registro di collocazione di questo scaffale c’è un numero progressivo e un numero di collocazione. Il progressivo è continuo mentre nei numeri di collocazione ci sono lacune, tra cui appunto il n. 6. La mancanza di cancellazioni di qualsiasi tipo e la apposizione di un progressivo continuo sta ad indicare che il registro non è stato corretto ma proprio riscritto. Il mistero della totale assenza di registri inventariali antecedenti agli anni ‘60 - tra l’altro un grosso problema quando si è provveduto ai vari interventi di recupero informatizzato del pregresso dato che sui volumi stessi era presente esclusivamente la collocazione - è stato parzialmente risolto da una tesi di laurea che ha studiato, tramite i documenti dell’archivio storico, la genesi del nucleo originario delle collezioni della Biblioteca. La studiosa che ha compiuto la ricerca - tra l’altro una brava collega di un Comune vicino - è riuscita a vedere i registri originali di inventario detenuti dal bibliotecario dell’epoca e mai consegnati per una controversia con l’Amministrazione. Già da sola questa peculiarità renderebbe interessante tale ricerca ai fini di una sua pubblicazione per mettere in evidenza al pubblico ed ai ricercatori non solo locali le contraddizioni della democrazia (senza che tale possibilità sia stata presa in considerazione da alcuno).

In sostanza questo episodio, nel suo piccolo, ci mostra come non siano unicamente le dittature, i regimi totalitari od oscurantisti ad eliminare fisicamente i libri per cancellare le idee della parte avversa, ma anche nella democrazia recente si vengono ad attuare forme di censura sia preventiva sia distruttiva nel tentativo di riscrivere la storia. Se sono comprensibili - anche se forse non giustificabili - le vendette personali alla fine di un conflitto che si è sviluppato in drammatica guerra civile, non sono né comprensibili né giustificabili in un’ottica democratica il cancellare il passato anche ideologico di un’istituzione. Al contrario conoscere e favorire la conoscenza della storia e delle ideologie che in essa si sono esplicate dovrebbe essere l’impegno di tutti quanti sono coinvolti a qualsiasi titolo nella gestione della cosa pubblica. Ma evidentemente è fin troppo facile dimenticarsi di quanto è scomodo ricordare, ovvero, nel nostro caso, che anche alle origini del nostro sistema di vita ci sono rimozioni, cancellazioni, vere e proprie biblioclastie, non meno terribili perché effettuate lontano da occhi indiscreti piuttosto che in piazza come monito esplicito.

Per concludere i libri ritrovati - sicuramente non tutti quelli presenti in origine - sono stati ricollocati in una sezione a sé da un lato perché non avrebbe avuto senso tornare a disperderli nella collezione generale e dall’altro perché l’enuclearli in un gruppo omogeneo aveva il significato di indicare la storia di questo che di fatto è diventato un piccolo fondo a sé stante.

Commenti

  1. Interessante. So di una collega che si era ritrovata per le mani un libro con indicazioni pratiche - molto dettagliate - su come uccidersi, acquistato nell'ambito di una ricerca sull'eutanasia. Lo nascose in fondo ad un armadio e scrisse "perso" sulla disponibilità. In realtà i colleghi, interpellati dalla stessa persona su questo comportamento, si divisero fra quanti trovavano scorretta la censura a priori e quanti ritenevano veramente pericoloso il contenuto del libro. La stessa collega buttò fuori dalla biblioteca un adepto di Scientology che voleva farle acquistare il libro su Dianetics...
    Mi viene in mente un episodio della mia infanzia: misero una bomba incendiaria sotto casa, fabbricata artigianalmente, che non scoppiò per fortuna, ma che avrebbe potuto ferire gravemente me e i miei fratellini che ci recavamo a scuola uscendo da soli (beati anni Settanta). Il Capitano dei carabinieri disse a mio padre che il momento era difficile, che nelle librerie si potevano acquistare manuali su come fabbricare una bomba in casa. Questa cosa mi è rimasta impressa tutta la vita: le biblioteche acquistavano quei testi? Li prestavano? Fin dove la biblioteca è "neutra" negli acquisti e nella distribuzione? Il libro su come uccidersi alla peggio danneggia una sola persona, il manuale pratico per apprendisti bombaroli però lascerei se lo comprassero... Tu che ne pensi?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio molto per il tuo commento e la testimonianza che riferisci. Mi sembra che occorra però identificare una distinzione e due possibili modalità operative (biblioteconomicamente parlando).
      La distinzione è tra censura a priori e a posteriori. Ovvero se il documento è già in biblioteca ovvero se il documento ancora non c'è e ne va valutata l'acquisizione. Onestamente penso sia normale che tutti i bibliotecari che effettuano acquisti facciano censura preventiva perché nessuno, avendo a disposizione un budget in grado di coprire tutto il pubblicato, può permettersi di portarsi nella collezione un documento che non sia da una parte congruente con la stessa e dall'altra possa dare adito a critiche e polemiche. Detto terra terra non vado ad acquistare un manuale sul suicidio se non sono in una biblioteca specializzata (ad esempio sul disagio), se non ho chiara la possibile utenza reale dello stesso, e infine se penso che l'acquisizione possa dare adito a polemiche. Ma se il libro mi viene esplicitamente richiesto da un utente e formalmente non contrasta con i criteri di acquisizione (è un documento recente, è disponibile presso il nostro fornitore, ecc.) non troverei particolari motivi per rifiutare la richiesta. Certo poi porrei attenzione che non finisse in mano a ragazzi: lo stesso problema del resto capita con testi con contenuto sensibile da un punto di vista sessuale (De Sade, Henry Miller, ecc.). Ma perché un utente maggiorenne e nel pieno possesso dei propri diritti non dovrebbe poter consultare un documento quale quelli che citi, se presenti in biblioteca?
      Alla fine pensi che chi si voglia suicidare o chi voglia far esplodere un ordigno venga meno dal proposito non trovando in biblioteca un testo appropriato? Mi sembra onestamente una posizione molto ingenua che tende a deresponsabilizzare il materiale esecutore ed a iperresponsabilizzare il documento (non solo il libro, dalla mia infanzia ho il ricordo delle accuse di traviare la gioventù rivolte ai cartoni animati giapponesi, nel presente vediamo dare la colpa della strage effettuata da Breivik & Co. ai videogiochi violenti, ecc.) che avrebbe la capacità di sconvolgere le menti, mentre penso che da bibliotecarie e bibliotecari dovremmo sapere benissimo che i documenti riescono a traviare menti già di loro traviate o comunque predisposte a farsi traviare.
      Discorso completamente differente invece mi sembra vada fatto per la collezione storicizzata. Se un documento fa parte della collezione non è più solo un documento a sé ma è un pezzo della storia della formazione della collezione stessa. Puoi pensare di limitarne la visualizzazione (ai maggiorenni, agli studiosi, a chi compili apposita liberatoria, ecc.) ma trovo assolutamente scorretta una censura a posteriori che alteri e mutili per motivi meramente ideologici la collezione.

      Elimina

Posta un commento

I post più popolari nell'ultimo anno

Contro la divinazione fast-food: lo "I Ching"

I miei figli ogni tanto si e mi domandano quale esattamente sia la mia fede religiosa. Un po’ per scherzo un po’ no, dico loro che sono taoista: del resto ho riletto il Tao Te Ching (meglio: il Daodejing secondo la translitterazione Pinyin; per motivi puramente sentimentali mi sia perdonato l’uso della vecchia translitterazione Wade-Giles per parlare del Libro della Via e della Virtù ) svariate volte e ne posseggo almeno 4 edizioni significative (Adelphi, Utet e due diverse Einaudi). Certo la mole è diversa rispetto ad altri testi "sacri" quali la Bibbia o il Corano, ma per certi versi contrapposta alla difficoltà e profondità del messaggio. Tuttavia non vorrei qui parlare del Tao Te Ching , quanto di un altro classico cinese ancora più antico: Il libro dei Mutamenti o I Ching (Pinyin: Yijing ). La composizione dell’ I Ching risale a oltre un millennio prima della nascita di Cristo come forma di registrazione delle divinazioni fatte utilizzando le ossa degl

Homo ludens: play e game

  La lettura di Homo ludens di Johan Huizinga, il testo che per primo consapevolmente e programmaticamente analizza il gioco all’interno della storia e della cultura umana, e che per questo viene considerato all’origine dei “game studies” ( vedi qui per un parallelo tra l’analisi huizinghiana e l’antico classico cinese I Ching ), pubblicato originariamente nel 1939, nell’edizione italiana (quella utilizzata dal sottoscritto è del 2002) Einaudi si arricchisce di un saggio introduttivo di Umberto Eco del 1973: “Homo ludens” oggi . Sinteticamente Eco rimprovera ad Huizinga di non considerare nel suo testo la dicotomia, perfettamente esplicitata in lingua inglese, tra play e game . Play , l’oggetto del libro huizinghiano, è l’attività ludica, il giocare. Game è invece il sistema di regole e meccaniche del gioco. Nella sua critica ha ragione a sottolineare come Huizinga, che pure sottopone ad una analisi linguistica approfondita il concetto di gioco passando dalle lingue primitive a quel

Suzette Haden Elgin e il problema della lingua inclusiva

Leggendo testi sul linguaggio e la sua origine mi sono imbattuto nella linguista Suzette Haden Elgin e nel suo romanzo di fantascienza Lingua nativa , pubblicato in italiano da Del Vecchio Editore nel 2021. In realtà il libro è stato originariamente pubblicato negli Stati Uniti nel 1984 come primo capitolo di una trilogia (non disponibile in italiano) composta anche da The Judas Rose (1987) e Earthsong (1994). Il libro è ambientato in un futuro (tra il XXII e il XXIII secolo) dove il genere femminile dell’umanità è considerato inferiore e privato di tutti i diritti individuali e collettivi. Provate a pensare alla situazione dell’Iran o di altri stati in cui impera il fondamentalismo islamico. Ma nel futuro immaginato da Elgin non è la religione all’origine della discriminazione ma una sorta di pregiudizio di genere (da svariati critici Lingua nativa viene accostato al Racconto dell’ancella , anche se è stato pubblicato l’anno prima del romanzo di Margaret Atwood) che sostanzialmente