Potrebbe parere un comportamento tipo “sparare sulla Croce Rosse” quello di criticare Massimo Gramellini ed il suo ultimo fondo su La Stampa odierna (18.10.2014) a titolo Un’alluvione di libri. Perché Gramellini decanta l’amore per la cultura dei ragazzi di Genova che raccolgono libri nel fango e invece di destinarli al macero come ci si aspetterebbe viste le condizioni, li rivendono e portano al libraio della Biblioteca antiquaria di Genova ben € 450 di ricavato senza accettare nessuna ricompensa. Bello vero?
Ma, un attimo… I libri vengono da una “Biblioteca”? Non possono essere rivenduti, anche se fossero coperti di fango. E chi la gestisce è un “libraio”? Non è che si è scambiata una “biblioteca” per una “libreria”? In questo caso bravi i ragazzi ma assolutamente asino Gramellini che – pur dichiarando di riprendere la notizia dal “Corriere Mercantile”, in presenza di una palese discrasia avrebbe dovuto controllare e correggere prima di scrivere e pubblicare.
Che vuoi mai che sia, ci sarà chi dirà, un errore che nulla toglie all’esempio di altruismo e volontariato. A quello certo no ma alla competenza di Gramellini come giornalista (nonostante la fama conquistata a suon di best seller) e della testata che lo pubblica certamente sì. Personalmente già mi da fastidio la confusione pure abbastanza comune tra gli addetti ai lavori tra “library” (biblioteca) e libreria (che in inglese si traduce “bookshop”, l’unico caso in cui “library” di può tradurre con “libreria” è nel caso delle raccolte di elementi a livello informatico, ma si tratta evidentemente di gergo tecnico), e non perché sia particolarmente esperto della lingua inglese, ma semplicemente perché sono convinto che sia necessario, per esprimersi bene, utilizzare i termini corretti ed appropriati (“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” Nanni Moretti dixit).
Gramellini evidentemente no, sorvola sulla differenza, apparentemente per lui inessenziale, tra librerie e biblioteche (magari perché non ha prestato sufficiente attenzione al lavoro fatto a Firenze non per vendere ma per preservare a memoria ed orgoglio nazionale i preziosi volumi della Biblioteca dall’inondazione). Radical chic renziano, Gramellini dipinge un commovente cameo buono per smuovere gli animi all’apprezzamento degli angeli del fango, volontari e gratuiti benefattori degni di essere medagliati d’orgoglio nazionale (giustamente) ma assolutamente deleterio nello spiegare ai suoi lettori cosa sia una biblioteca e quale sia la sua importanza ben differente, a livello di politica ed educazione nazionale, da quello di una libreria.
Lo screenshot del "Buongiorno" (e se il mattino si vede dal buongiorno...) di Gramellini (La Stampa, sabato 18 ottobre 2014)
E ogni tanto i suoi occhi brillano di lacrimucce nel raccontare le storie scelte, tutte di eroismo e di ingiustizie riconosciute e riconoscibili dal mondo intero, nulla di quelle un poco più nell'ombra, appena appena più controverse...
RispondiEliminaMi sembra eccessivo definirlo "asino". Ha scritto un'inesattezza -o magari per biblioteca intendeva una semplice raccolta di libri, mezza ma inesatta verità- ma non mi sembra il punto focale dell'articolo.
RispondiEliminaPenso volesse solo mettere in evidenza l'attività dei volontari, la passione e la voglia di salvare un patrimonio e magari l'aiuto dato al proprietario di questa libreria.
Capisco tutto, ma che pure in un contesto del genere dobbiamo metterci a fare le pulci per un termine inesatto -quasi per fare "polemica" sulla professione- mi sembra veramente inutile. E mi sembra molto poco elegante l'espressione "asino".
Sono d'accordo: "ha scritto un'inesattezza". Il punto - secondo me - è: "chi" ha scritto un'inesattezza? Un ignoto giornalista che scrive di fretta un pezzo di cronaca interna? No: nientemeno che l'ammiraglio della testata sulla rubrica più seguita. Ed allora - sempre secondo me - l'errore veniale su cui normalmente avrei sorvolato si trasforma in errore capitale e difficilmente perdonabile. Se un utente mi chiede un libro di "bilboteconomia" mi viene da ridere, se me lo chiede un collega m'indigno. Magari è solo una questione di carattere...
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